C’è una pagina di Facebook, curata da Gian Guido Santucci (Funzione Pubblica Cgil) intitolata «Mai più precarietà» e dedicata alla marea di lavoratrici e lavoratori pubblici instabili, in perenne attesa di un futuro migliore. Sono circa 200 mila e ora percepiscono il rumore della scure detta «spending review» sulle loro teste. Come se fossero solo una «spesa inutile» e non invece produttori di servizi pubblici essenziali. Capiscono che la speranza di essere stabilizzati mentre negli uffici si decretano prepensionamenti e mobilità diventa ancor più una chimera. Ora su questa pagina troviamo una testimonianza firmata Daniela Riboldi. Scrive: «Sono precaria da metà della mia vita, con circa 10 anni di anzianità sul comune, una stabilizzazione mancata nel 2008 e di nuovo l’attesa per circa 4 anni…». Daniela se la prende con i sindacati a suo parere intenti a porre altre priorità rispetto a quelle denunciate dai precari. Un esempio, in sostanza, di guerra tra i poveri. Scrive Santucci: «I lavoratori pubblici, sono le vittime designate; mentre le caste degli intoccabili si tirano fuori dalla spending review come nel caso di prefettizi, magistrati, diplomatici, militari e forze di polizia. Siamo sicuri che sia questa la via da perseguire?». Quel che colpisce è che sembra mancare del tutto, nella ricetta governativa di spese da tagliare, un’idea davvero riformatrice. È diffusa, certo, nel Paese la conoscenza di sacche di inefficienza, di sperperi e sprechi. Ma anche della presenza di tanti solerti «servitori dello Stato». E tra loro moltissimi sono coloro a cui da anni non è stato riconosciuto un posto fisso anche se svolgono una mansione fissa, decisiva per il benessere della cittadinanza. Sarebbe necessario percorrere i vari luoghi di lavoro: dagli uffici delle entrate, alle caserme dei vigili del fuoco, agli ambulatori sanitari. Non serve a curare il malato tagliare indiscriminatamente al grido brunettiano «sono tutti fannulloni». Ma per fare un «bagno di realtà» bisognerebbe avviare una concertazione con le parti sociali interessate. Un metodo rifiutato dal governo così come e avvenuto per pensioni e mercato del lavoro. I sindacati hanno denunciato insieme (Cgil, Cisl e Uil della funzione pubblica e della scuola) questo stato di cose. Ricordando che il governo «con la conferma di un metodo che pensavamo ormai tramontato, quello della semplice comunicazione dei provvedimenti e non della concertazione, viene meno agli impegni presi». Sono la premessa di uno scontro sociale che si sarebbe potuto evitare per il bene del Paese e delle sue sorti.
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C’è una pagina di Facebook, curata da Gian Guido Santucci (Funzione Pubblica Cgil) intitolata «Mai più precarietà» e dedicata alla marea di lavoratrici e lavoratori pubblici instabili, in perenne attesa di un futuro migliore. Sono circa 200 mila e ora percepiscono il rumore della scure detta «spending review» sulle loro teste. Come se fossero solo una «spesa inutile» e non invece produttori di servizi pubblici essenziali. Capiscono che la speranza di essere stabilizzati mentre negli uffici si decretano prepensionamenti e mobilità diventa ancor più una chimera. Ora su questa pagina troviamo una testimonianza firmata Daniela Riboldi. Scrive: «Sono precaria da metà della mia vita, con circa 10 anni di anzianità sul comune, una stabilizzazione mancata nel 2008 e di nuovo l’attesa per circa 4 anni…». Daniela se la prende con i sindacati a suo parere intenti a porre altre priorità rispetto a quelle denunciate dai precari. Un esempio, in sostanza, di guerra tra i poveri. Scrive Santucci: «I lavoratori pubblici, sono le vittime designate; mentre le caste degli intoccabili si tirano fuori dalla spending review come nel caso di prefettizi, magistrati, diplomatici, militari e forze di polizia. Siamo sicuri che sia questa la via da perseguire?». Quel che colpisce è che sembra mancare del tutto, nella ricetta governativa di spese da tagliare, un’idea davvero riformatrice. È diffusa, certo, nel Paese la conoscenza di sacche di inefficienza, di sperperi e sprechi. Ma anche della presenza di tanti solerti «servitori dello Stato». E tra loro moltissimi sono coloro a cui da anni non è stato riconosciuto un posto fisso anche se svolgono una mansione fissa, decisiva per il benessere della cittadinanza. Sarebbe necessario percorrere i vari luoghi di lavoro: dagli uffici delle entrate, alle caserme dei vigili del fuoco, agli ambulatori sanitari. Non serve a curare il malato tagliare indiscriminatamente al grido brunettiano «sono tutti fannulloni». Ma per fare un «bagno di realtà» bisognerebbe avviare una concertazione con le parti sociali interessate. Un metodo rifiutato dal governo così come e avvenuto per pensioni e mercato del lavoro. I sindacati hanno denunciato insieme (Cgil, Cisl e Uil della funzione pubblica e della scuola) questo stato di cose. Ricordando che il governo «con la conferma di un metodo che pensavamo ormai tramontato, quello della semplice comunicazione dei provvedimenti e non della concertazione, viene meno agli impegni presi». Sono la premessa di uno scontro sociale che si sarebbe potuto evitare per il bene del Paese e delle sue sorti.
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