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La Spagna al voto: quale forma per la democrazia spagnola?

Creato il 11 dicembre 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Davide Vittori

I dati sulla disoccupazione spagnola sono in leggero miglioramento: dopo aver toccato quasi il 27% nel primo trimestre del 2013, le ultime rilevazioni segnalano un tasso del 21,18%. Un dato ancora molto negativo se si pensa che nel pre-crisi non arrivava nemmeno al 10% [1]. In Spagna, però, la salienza di questi dati è più rilevante – anche dal punto di vista simbolico – rispetto ad altri Paesi mediterranei. Il 15 marzo 2011, infatti, a partire dalla piattaforma digitale ¡Democracia Real Ya! e da altre associazioni, si è sviluppata una piattaforma rivendicativa dei giovani di Puerta de Sol (il luogo “occupato” dalla protesta, a Madrid), la quale si fondava su tre cardini principali: la lotta alla disoccupazione, il contrasto alla corruzione e un cambio radicale rispetto al bipartitismo spagnolo [2].

Dalle manifestazioni del 2011, svoltesi in circa 60 tra le principali città, il panorama politico spagnolo è cambiato radicalmente, tanto da rompere il duopolio conservatore-socialista. Sulla scena partitica sono entrate due nuove formazioni, Podemos e Ciudadanos, il cui impatto in termini elettorali è stato significativo nelle comunità in cui si è votato. Il primo, nasce proprio come tentativo di capitalizzare il successo delle proteste del 2011, mentre Ciudadanos è, con un minimo di approssimazione, l’alternativa liberale-conservatrice del panorama politico, con un programma fortemente europeista e un discorso politico centrato sulla lotta alla corruzione.

Le prossime elezioni

Alle elezioni del 20 dicembre, stando ai sondaggi, quattro formazioni – Partido Socialista Obrero Español (PSOE), Partidoo Popular (PP), Podemos e Ciudadanos – concorreranno per conquistare la maggioranza relativa. Si profila con ogni probabilità – a meno di uno stallo istituzionale – un patto di governo tra il almeno due forze con proiezione nazionale (e forse anche qualche partito locale). Stando agli ultimi sondaggi forniti da Metroscopia, PSOE e PP sono appaiati al 23,5%, Ciudadanos viene stimato al 21,5% in netta risalita dopo il successo in Catalogna, mentre Podemos, dopo l’exploit di gennaio (28,2%) viene accreditato un 14,1%. Ad Izquierda Unida, infine, vengono assegnati il 5,6% dei voti.

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Spagna, elezioni – Sondaggio Motroscopia / El Pais

Un panorama ancora molto incerto, anche se altri sondaggi preconizzano una maggioranza relativa a favore del Partido Popular e in seconda posizione il PSOE. Le previsioni però concordano nel ritenere che il 20 dicembre entrerà definitivamente in crisi quel bipartitismo, che dall’avvento della democrazia ha marcato la democrazia spagnola.

Un dato rilevante è che il successo e la sconfitta di questo o quel partito sarà determinato dal “centro” ideologico. Come segnala sempre Metroscopia, l’autoposizionamento degli elettori dei quattro principali partiti è, in una scala da zero (sinistra) a dieci (destra), tendente verso il cinque. Podemos e il Partido Popular mostrano una tendenza ad attrarre anche gli elettori rispettivamente che si considerano di sinistra e di destra, mentre il PSOE e Ciudadanos attraggono per la maggior parte elettori di centro, un’area quindi tanto indefinita quanto centrale per ‘incerta campagna elettorale.

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Posizionamento ideologico elettorato – Fonte: Metroscopia/El Pais | clicca per ingrandire

Per capire come si sia potuto arrivare ad un panorama politico così frastagliato, in ogni caso, è necessario ripercorrere le tappe principali che hanno contraddistinto il governo del Primo Ministro Mariano Rajoy.

Il governo del PP e la crisi economica

Travolto dalla burbuja immobliaria [3], che ha messo in ginocchio la rampante economica spagnola, il PSOE viene duramente sconfitto alle elezioni anticipate del 2011. Con il peggior risultato della storia dalla restaurazione della democrazia, il PSOE lascia campo libero al PP di Mariano Rajoy, che riscatta le sconfitte subite nel 2004 e nel 2008, ottenendo la maggioranza assoluta in Parlamento (186 seggi su 350). La situazione economica e finanziaria della Spagna, tuttavia, è critica: dal 2007 al 2012 la Spagna ha visto triplicare la disoccupazione, dall’8,57% al 24,19% del primo trimestre del 2012. Sempre in quest’ultimo anno la disoccupazione giovanile è al 53,7%.

Anche il settore bancario è in ginocchio a causa dei crediti inesigibili, sempre dovuti alla “bolla del mattone”, nella pancia delle banche: in pochi anni, oltre alle banche che ricevono aiuti diretti, vengono nazionalizzate Caja Castilla-La Mancha,Cajasur, Caja de Ahorros del Mediterráneo, Banco de Valencia e, soprattutto, il colosso Bankia (2012). Questi interventi vengono iniziati dal governo Zapatero, ma è sotto il governo Rajoy che vengono iniettati svariati miliardi di euro nelle casse delle banche, attraverso il Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (FROB), la cui capacità di ottenere capitali in prestito ha raggiunto i 63,5 miliardi di euro nel 2014 [4]. A rischio è l’intero sistema finanziario del Paese: il settore bancario viene perciò salvato dal collasso con capitali pubblici.

Nonostante tali consistenti aiuti, in parte provenienti dall’Unione Europea, Rajoy riesce ad evitare l’ingresso della cosiddetta Troika nel Paese; un punto fondamentale questo, che distanzia il caso spagnolo da quelli di altri PIIGS in una situazione simile (Grecia, Portogallo e Irlanda). Senza una condizionalità nelle riforme economiche del governo, i conservatori riescono, per lo meno dal punto di vista formale, a mantenere l’autonomia decisionale nel policy-making. Da un punto di vista sostanziale, tuttavia, la linea “rigorista” dell’UE viene seguita (quasi) fedelmente dal governo conservatore, a partire dal contenimento del deficit pubblico. Da un lato, la Spagna negli ultimi due anni ha dovuto fronteggiare tassi di inflazione negativi e raramente al di sopra dello 0, dall’altro, dopo un triennio di forte spesa (9,4% nel biennio 2011-2012 e 10,3% nel 2013 il deficit), Rajoy ha optato per un significativo contenimento, che però non ha soddisfatto a pieno le richieste dell’Unione Europea. L’ultima legge di stabilità presentata a Bruxelles è stata rigettata perché il deficit previsto per il 2015 (4,5%) e per il 2016 (3,5%) contravviene al Patto di Stabilità. Così, le prospettive di crescita del PIL, su cui il PP ha puntato in vista delle elezioni generali, potrebbero essere ridotte rispetto ad un ottimistico +2,6% previsto per il 2016.

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Spagna, tasso di inflazione – Fonte: Tradingeconomic.com/NIE

Gli altri provvedimenti principali: la riforma del lavoro e la Ley Mordaza

Oltre al quadro macro-finanziario, è necessario focalizzarsi anche sulle altre riforme intraprese in questo quinquennio dal governo, a cominciare dalla riforma del lavoro del 2012, fortemente voluta dai popolari e avversata sia dalle opposizioni in Parlamento (IU e PSOE) sia dalle sigle sindacali nazionali e autonome. Particolarmente critiche sono state le voci su alcuni punti della riforma, come l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo, che è passato dai 45 giorni per anno lavorato ai 33 attuali, mentre per il licenziamento “oggettivo” (ossia per ragioni economiche o altre cause) vengono riconosciuti 20 giorni per anno lavorato. Inoltre, la modifica dell’art. 18, viene invertito l’onere della prova per il licenziamento ingiustificato, mentre le modifiche degli articoli 11, 12 e 13 dello Statuto presuppongo la possibilità di diminuire il salario corrisposto al lavoratore per cause economiche, tecniche, organizzative o di produzione; in precedenza era possibile modificare solamente il sistema di remunerazione.

Il secondo provvedimento più controverso della legislatura, oltre ai contestati tagli alla sanità pubblica e all’educazione, è sicuramente la Ley de Seguridad Ciudadana, ribattezzata Ley Mordaza (legge bavaglio). Il testo, che è comunque andato modificandosi nel tempo perdendo parte dell’impianto iniziale, prevede la possibilità di una sanzione amministrativa (senza quindi l’intervento di un giudice che possa valutare il merito delle contestazioni) per manifestazioni non autorizzate o anche convocate non regolarmente attraverso internet. Le opposizioni in questo hanno visto una risposta ex-post agli avvenimenti di Puerta del Sol del 2011. Le manifestazioni nelle vicinanze di infrastrutture strategiche possono, per esempio, portare ad una multa da 30.000 a 600.000 euro. Infrazioni di minore entità, da 1.001 a 30.000 euro, sono previste per altre fattispecie, quali le turbative della sicurezza pubblica in particolare se tali atti sono compiuti coprendosi il volto.

Infine, una menzione deve essere riservata per la legge sull’aborto (Ley Orgánica de Protección del Concebido y los Derechos de la Embarazada): promossa dall’ex Ministro della Giustizia Alberto Ruiz Gallardón, prevedeva una restrizione del diritto all’interruzione della gravidanza; dopo le proteste di diverse associazioni ed esponenti politici (tra cui alcuni popolari), tale legge è stata ritirata, portando alle dimissioni dello stesso Gallardón.

La piaga della corruzione

Un capitolo a parte merita sicuramente il tema della corruzione in Spagna. Non è un mistero che proprio su questo tema hanno avuto gioco facile Podemos, in primis, e successivamente Ciudadanos nel criticare gli scandali che hanno travolto sia i socialisti (in Andalusia in particolare) sia i popolari. Su Rajoy pende la spada di Damocle del caso Gürtel, da cui poi è nato il caso Barcenas, mentre è ancora vivo lo scandalo degli Expedientes de Regulación de Empleo (ERE) tra le file del PSOE in Andalusia (anche se furono coinvolti anche esponenti locali del PP). Nel primo caso si tratta di una presunta contabilità accessoria che l’ex tesoriere popolare – Luis Barcenas – avrebbe tenuto per finanziare illecitamente sia il partito che esponenti popolari. Il caso ERE riguarda le agevolazioni, fornite in maniera fraudolenta, che la precedente giunta andalusa concesse ad inizio anni 2000 per i prepensionamenti e gli ammortizzatori per i licenziamenti.

Più recentemente, il tesoriere di Convergència Democràtica de Catalunya (CDC) uno dei due partiti fondatori di CiU è finito in carcere per presunti finanziamenti illeciti al partito e a fondazioni ad esso vicine.

Non è un caso dunque che il secondo punto per la “rigenerazione democratica” dei partiti proposta da Ciudadanos riguardi le dimissioni da qualsiasi incarico pubblico o di partito per gli imputati di corruzione, sino a quando non si sia acclarata l’innocenza dell’imputato [5]. Anche Podemos si muove sulla stessa linea politica (limitatamente a questo tema): al primo punto della proposta programmatica del partito guidato da Pablo Iglesias si trova la riforma tributaria e la lotta contro la corruzione [6].

Il nodo catalano

Uno dei dossier più spinosi per Rajoy rimane comunque la Catalogna. La consultazione non vincolante (referendum) del novembre del 2014 per chiedere l’indipendenza di Barcellona da Madrid ha visto fronteggiarsi duramente non solo il Governo popolare con il blocco soberanista di Convergència i Unió (CiU) e Esquerra Republicana de Catalunya – poi presentatosi con un’unica lista alle recenti elezioni autonomicas – ma, ancor più in profondità, la Corte Costituzionale spagnola con Artur Mas, accusato da più parti di aver attentato alla Carta, volendo minare l’indivisibilità del territorio spagnolo.

La recente tornata elettorale, lungi dal premiare il personalismo di Mas, ha sì mostrato la forza dell’indipendentismo catalano (e su tutti la forza delle due sinistre catalane Esquerra Repubblicana e Candidatura d’Unitat Popular – CUP), ma ne ha anche evidenziato i limiti, premiando quelle formazioni come Ciudadanos, che hanno fatto dell’unità spagnola il cardine di questa campagna elettorale [7]. Tale polarizzazione ha penalizzato Podemos, la cui posizione ondivaga tra l’indipendentismo e la necessità di un referendum per certificarla non ha pagato in termini elettorali.

Per il governo popolare la tenuta elettorale delle forze non indipendentiste è stata la certificazione della forza della linea dura contro il governo barcellonese, il quale a sua volta ha approvato una risoluzione di maggioranza sull’inizio del processo di “desconexión” dalla Spagna. Per la prima volta si è tramutato in voto il piano di rottura con la legalità spagnola; un passo necessario per gli indipendentisti, visto il fronte compatto anti-secessione di governo e Tribunale Costituzionale. In realtà, anche se ancora le forze politiche pro-indipendenza sono divise sul prossimo presidente della Generalitat (Junta pel Sí vorrebbe poter riconfermare Mas, ma CUP sembra intenzionato a porre un veto sulla candidatura), il percorso sembra ancora in divenire e piuttosto incerto su entrambi i fronti. Secondo un sondaggio di Metroscopia, il 58% dei catalani sarebbe a favore di nuove elezioni, anche in concomitanza con quelle generali del 20 dicembre, mentre solo il 20% si schiera a favore del proseguimento delle negoziazioni con CUP.

La Catalogna potrebbe essere determinante nelle prossime elezioni, dato il peso della regione autonoma in termini di numero di parlamentari espressi nel Congreso de los Diputados. Per ora le proiezioni accreditano ai popolari solo 3 seggi, contro gli 11 del 2011 e, vista l’impossibilità di raggiungere un accordo di legislatura con la compagine di Mas (e, ovviamente, con la Sinistra Repubblicana), il rischio per Rajoy è quello di dover puntare altrove le proprie speranze di avvicinarsi alla maggioranza dei seggi [8].

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Sondaggio in Catalogna – Fonte: Metroscopia/El Pais

Conclusioni

L’esito della campagna elettorale è ancora molto incerto; per la prima volta i contendenti alla maggioranza relativa – ad oggi, sembra improbabile che uno dei partiti riesca ad ottenere quella assoluta – sono ben quattro partiti, due dei quali solo recentemente affaciatisi nel panorama politico spagnolo. Una situazione che potrebbe rendere necessario una coalizione di governo tra due partiti con una proiezione nazionale, mentre in passato sia PSOE che PP quando non ottenevano la maggioranza assoluta, si appoggiavano ai partiti delle autonomie. In ogni caso, indipendentemente dal colore del governo, il prossimo esecutivo si troverà ad affrontare un cammino impervio: da un lato, i trattati europei pongono dei limiti macro-economici molto definiti, come ha mostrato il rigetto dell’ultima finanziaria del governo; dall’altro, nonostante un timido recupero, la disoccupazione (e quella giovanile in particolare) rimane un nodo irrisolto per la Spagna, che da tempo deve fare i conti con la questione della moralità pubblica dei partiti. Non certo un tema nuovo – scandali importanti si sono susseguiti nel tempo – ma la cui salienza è divenuta centrale nel dibattito pubblico. 

* Davide Vittori è OPI Contributor

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[1] I dati sono quelli pubblicati, con cadenza trimestrale, dall’Istituto nazionale di statistica (INE).

[2] Il sistema politico spagnolo è stato, per anni, un bipartitismo di fatto, anche se la legge elettorale di tipo proporzionale ha permesso a molteplici formazioni, fortemente radicate nelle comunidades autónomas, di ottenere seggi in Parlamento e di essere per di più determinanti per la fiducia al governo.

[3] Una delle città fantasma divenute famose per i reportage di molti giornali europei è Sesena, cittadina alle porte di Madrid, “desertificata” a causa della crisi.

[4] È qui importante notare che il FROB ha una propria personalità giuridica. Pur avendo attinto dal Meccanismo di Stabilità Europeo, tale scelta ha permesso di evitare la “condizionalità” del Meccanismo Europeo di Stabilità, come è successo quando Grecia, Portogallo e Irlanda hanno richiesto l’accesso ai fondi.

[5] Per le proposte politiche di Ciudadanos si può consultare il sito: https://www.ciudadanos-cs.org/nuestras-ideas/transparencia.

[6] Il programma politico completo di Podemos si può scaricare al seguente indirizzo: http://podemos.info/wp-content/uploads/2015/05/programa_marco_podemos.pdf.

[7] La lista Junta pel Sí e CUP hanno ottenuto una chiara maggioranza dei seggi, ma non la maggioranza dei voti (47,8%). In campagna elettorale proprio sulla maggioranza dei voti espressi (a favore dei partiti indipendentisti) si fondavano le speranze per accelerare il processo di separazione della Spagna.

[8] Si dà per scontato qui che le proiezioni prima segnalate siano indicative della distribuzione dei seggi e che quindi sia altamente improbabile una maggioranza assoluta in Parlamento per i popolari.

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