Le recensioni di robiwood
Una sensazione che tutti abbiamo provato ma di cui non serbiamo il ricordo. Qualcosa che abbiamo perduto o che ancora non abbiamo raggiunto. Quel senso di leggerezza e profondità di cui abbiamo bisogno ma che abbiamo smesso di cercare perché non ci crediamo più. Cos’è la spensieratezza? Dov’è? E, soprattutto, che forme assume?
Ho pensato di iniziare la mia collaborazione al blog con questa delicata e infinita tematica, vedendo com’è stata affrontata in alcuni film degli ultimi anni. Ovviamente con tutta l’umiltà possibile e senza nessuna pretesa se non quella di condividere con gli altri il mio amore per il cinema.
Ecco il primo film di questa sorta di rassegna che ho intitolato “La spensieratezza come…”:
THIS MUST BE THE PLACE di Paolo Sorrentino (2011)
TRAMA: Cheyenne, una rock star cinquantenne ormai ritiratosi dalle scene e sulla via della depressione, scopre che suo padre, con il quale non parla da trent’anni, ha avuto per tutta la vita un’unica ossessione: vendicarsi dell’ufficiale nazista che l’ha umiliato durante la prigionia nei campi di concentramento…
Prima dell’inferno una sola parola ha definito la mia vita: spensieratezza. Da bambino mi piaceva guardare il cielo della Polonia, lo stesso cielo che in seguito ho visto dal campo rigato dalla striscia nera del fumo dei miei parenti; eppure questa macabra visione non mi impediva di godere della bellezza di quel cielo.
(Dai diari del padre di Cheyenne)
La spensieratezza come… valore perduto. Come qualcosa legato all’infanzia e al calore dell’ascella della madre. Come l’affetto del padre che pensavamo ci disprezzasse perché riteneva di avere uno squilibrato per figlio e che invece non poteva far altro che amarci perché parte di lui. Cheyenne non fuma, non beve più, non si occupa della piscina della sua villa, compra cibo surgelato (anche se con le verdure) e la sua occupazione momentanea è mettere insieme un ragazzo triste con una ragazza triste. Non si rende nemmeno conto della cosa che desidera più di tutte: tornare bambino. Ed è solo quando muore suo papà che inizia il suo viaggio verso la crescita e verso la consapevolezza di sé. E’ solo quando è troppo tardi che Cheyenne capisce che non si può tornare indietro. Perché non è nel passato il nostro posto. E neanche nel presente o nel futuro. E’ in quell’attimo in cui, guardando il cielo, smettiamo di pensare e ci perdiamo. E perdendoci, sorridiamo. Perché capiamo che non si può tornare bambini semplicemente perché non abbiamo mai smesso di esserlo. Questa si chiama grandezza, questa si chiama spensieratezza.