Forse è ancora troppo presto per tentare un pronostico riguardo all’esito, non è però impossibile leggere già alcune linee di tendenza che stanno emergendo dalla campagna elettorale per le elezioni provinciali.
In via preliminare, la prima cosa da notare è che anche stavolta avremo un voto essenzialmente “etnico”, con gli italiani disposti a votare in prevalenza partiti di riferimento nazionale, o comunque scarsamente capaci di animare una proposta appetibile ad elettori che non siano di madrelingua italiana, e i tedeschi ugualmente concentrati su un’offerta che si rivolge a loro in modo pressoché esclusivo. Certo, all’interno di questi blocchi predefiniti non mancano appelli al superamento delle divisioni. Piccoli e sporadici segni tangibili, come ad esempio la presenza di un paio di candidati dell’altra lingua nelle liste (vedi per esempio il Pd), non mutano comunque la sostanza. Neppure nella prossima legislatura il Consiglio provinciale corrisponderà al desiderio di una popolazione altoatesina-sudtirolese “indivisa”. Forse, molto semplicemente, perché tali desideri risultano ancora largamente minoritari, e l’incapacità di costruire delle relazioni effettive, oltre la retorica della convivenza ormai disertata persino dai suo storici alfieri, regna sovrana.
Se restringiamo l’analisi al mondo di lingua tedesca, il quadro sembra questo: la Svp sta combattendo la sua battaglia autoreferenziale per riprendersi, se non la maggioranza assoluta, almeno una porzione consistente di voti, tale cioè da consentirle di poter governare praticamente da sola. L’opposizione dei Freiheitlichen e degli altri partiti afferenti agli ambienti più radicali non sembra stavolta in grado di conquistare un significativo consenso, anche perché il tema dell’autodeterminazione o del “libero Stato” – che avrebbe dovuto risultare particolarmente sottolineato – non è ancora uscito dall’ambito velleitario e dilettantistico nel quale è stato finora trattenuto dai suoi stessi sostenitori.
E gli italiani? Gli italiani scontano in generale la sindrome del sentirsi esclusi a priori, avvertono di avere poca voce in capitolo e perciò guardano ai partiti che dovrebbero rappresentarli con scetticismo e persino autolesionistico disprezzo. Anche nel loro caso, infatti, la lotta, se proprio vogliamo chiamarla così, viene praticata più per conservare le posizioni finora faticosamente acquisite che per cercare di guadagnare voti di nuova provenienza. Ciò non dovrebbe comunque servire a frenare l’astensionismo, l’unico dato che negli ultimi anni è risultato in costante crescita.
Si tratta di un’analisi troppo pessimistica? “Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che accadrà”, ha scritto una volta Ennio Flaiano. L’unica speranza che abbiamo rimane dunque quella di aver sbagliato previsione.
Corriere dell’Alto Adige, 21 settembre 2013