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La storia dei tre elefantini

Creato il 06 dicembre 2011 da Albix

La storia dei tre elefantiniIn un paese dell’India, nella giungla, vivevano tre elefantini che si chiamavano Tanèmi, Kangèpi e Shiva. Questi tre elefantini giocavano sempre insieme: giocavano a nascondino; al gioco degli indovinelli; oppure a girotondo, legandosi l’uno con l’altro con le loro lunghe proboscidi.
Un giorno Shiva, il più piccolino dei tre, perdendo l’equilibrio, sprofondò in una buca del terreno, ferendosi la zampa anteriore destra con la lama affilata di una sciabola dall’elsa tempestata di smeraldi, che certi ladruncoli avevano nascosto in quella buca insieme ad altri oggetti di valore, bottino di un furto consumato ai danni del potente Rajà Putankur.

Il povero elefantino, dal gran dolore che gli causava la profonda ferita, con un barrito acuto e prolungato fece tremare la terra al punto che, si narra, gli abitanti del vicino villaggio di Laicòn si riversarono fuori dalle capanne pensando che si trattasse di un imminente terremoto.

I due amici, superati i primi attimi di sgomento e paura, pensarono di recarsi a casa del medico degli animali, il Dr Shailèsh, un famoso veterinario che aveva la sua casa proprio ai bordi della giungla. Così, dopo aver costruito alla meglio un riparo per il povero Shiva, galopparono sino alla casa del medico, alla cui porta, con la proboscide, strofinarono con energia la loro trepidante inquietudine.

Il Dr Shailèsh fu svelto a capire e, predisposta la sua borsa, venne caricato sul groppone di Kangèpi, il più grosso e veloce dei tre, e condotto di gran carriera sul luogo dell’infortunio.

Quando vi giunsero era già notte fonda: la luna piena rischiarava la piccola radura ove Shiva, adagiato su un morbido tappeto di fronde, gemeva sconsolato, ormai semisvenuto a causa della grande quantità di sangue sgorgato dalla profonda ferita.

Abilmente il Dr Shailèsh lavò la ferita con acqua sterile, la disinfettò e, dopo avervi applicato un unguento coagulante, la coprì con larghe foglie di banano, di modo che la benda che di seguito vi avvolse strettamente attorno, non causasse dolore in occasione dello sbendamento.

Finita l’operazione, il buon veterinario, cercando tutt’attorno gli attrezzi da riporre nella sua borsa, fu attratto da un luccichio tra il fogliame. Tanèmi, che aveva intuito dove era rivolta l’attenzione del buon Shailèsh, spazzò con la proboscide tutta l’area circostante, mettendo così a nudo una capace buca dove, insieme ad una sciabola intrisa del sangue di Shiva, essi rinvennero i preziosi gioielli di rubini e zaffìri rubati al Rajà, per il cui rinvenimento egli aveva promesso un premio di trentamila ghinee d’oro.

Riposta in una sacca la refurtiva il medico si fece condurre a Palazzo Reale e, svegliato il Rajà in persona, gli narrò fedelmente i fatti, dando tutto il merito del ritrovamento ai suoi amici elefanti. Non di meno, il suo altruismo, gli fruttò il premio in danaro mentre il Rajà ordinò che i tre elefantini venissero ospitati vita natural durante, nelle stalle reali e senza incarichi di fatica. Shiva, trasportato a Palazzo Reale la notte medesima su una enorme lettiga trainata da sei paia di cavalli bianchi, si rimise in poche settimane, tornando più forte e più allegro di prima. Ed i tre amici vissero felici e contenti per il resto dei loro giorni.


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