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“La storia di Mondaugen” di Thomas Pynchon

Creato il 09 giugno 2011 da Temperamente

“La storia di Mondaugen” – Thomas Pynchon
Le pillole Bur sono pratici e comodi libri lunghi non più di un centinaio di pagine. Pratici perché di poco peso e piccola grandezza, comodi perché permettono di approcciare un autore senza doversi imbarcare in una lettura longeva di un intero romanzo – e a poco prezzo. Ideali, aggiungerei, per questo periodo in cui iniziano le vacanze e le ferie, e magari è possibile leggerli sotto l’ombrellone, evitando così le porcherie tipo gialli usa e getta e best seller di ultima nascita.

La storia di Mondaugen rappresenta il capitolo IX del ben più ampio libro d’esordio di Thomas Pynchon, V. (di cui trovate una critica qui) e certo non si può definire “la tipica storia da ombrellone”. Perfettamente estrapolabile dal romanzo, autonoma narrazione a sé stante, La storia di Mondaugen è anche perfetta parte armonica e necessaria al tutto, contraddizione da cui ci si tira fuori grazie alla poliedricità dell’opera pynchoniana, che notoriamente procede più per movimento circolare ed espansivo che lineare.

Kurt Mondaugen è un giovane ingegnere tedesco che, nel 1922, quando la Germania è fresca della batosta della prima guerra mondiale, viene mandato nel Protettorato Sudafricano del sudovest, l’odierna Namibia, per intercettare gli “sferici”, movimenti sonori del’atmosfera. Ben presto scoppia una rivolta di herero, cui la comunità tedesca fronteggia riparando all’interno della proprietà di Foppl. Ha inizio così l’Assedio-Party, in cui la salvezza fisica del protagonista si congiunge al suo decadimento morale. Pratiche sessuali promiscue, giochi erotici sado-maso, costanti festini alcolici sono lo scenario che governa la casa, insieme a un costante velo di irrealtà e baldoria che rende improbabile qualsiasi notizia. La testa ubriaca di Mondaugen si fonde con quella del lettore, i suoi pensieri sconnessi vagano nelle stanze della casa a ritmi diversi, ora cantando atroci canzoni nazionalpopolari, ora partecipando a discutibili azioni, illanguidendosi e intorpedendosi. Il libello si scorre con la sensazione di mal di testa dopo sbornia. Unico dato fermo in questo tran tran impazzito, è l’orrore che si prova nel leggere le malefatte perpetrate contro la popolazione locale, decimata numericamente dagli occidentali, mortificata nello spirito, torturata e bestializzata dall’inettitudine della civiltà superiore. Il colonialismo con la sua carica di sfruttamento economico e materiale di risorse, naturali, umani e culturali, viene esplicitato in questa parabola vissuta da Kurt Mondaugen. Stupidamente inarrestabili, beceramente potenti, i bianchi maltrattano i neri in ogni modo possibile, con la foga risentita di chi ha subìto una sconfitta e va verso un’altra.

Tanto più si avanza, tanto più lo strazio diventa insopportabile per chi legge, mentre il protagonista è totalmente succube dalla febbre della superiorità, che giustifica ogni azione. Crudeltà e disumanità sono le cifre di questa storia, che fa rabbrividire e vergognare tanto più che queste immagini sono storia vera, e neanche troppo lontana.

Azzurra Scattarella

Thomas Pynchon, La storia di Mondaugen, Bur, € 4.90


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