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La teologia del quattrino

Creato il 09 giugno 2012 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

È un bel problema: tra un po’ non ci saranno più banchieri a dirigere gli istituti finanziari che una volta si chiamavano di “credito” pur erogando in ridottissime quantità e solo alla cerchia di chi già possedeva. Sono tutti impegnati a rendere completamente privato e personale quel poco che era pubblico e collettivo, a sostituirsi alla oligarchia con la plutocrazia, a far proselitismo diffondendo malignamente la loro teologia tossica dei quattrini, possibilmente quelli virtuali che così si possono controllare ancora meno.
È un bel problema, una volta esauriti i ragionieri e i diplomati in computisteria e i contabili, chissà a chi potranno rivolgersi. Il nostro modesto suggerimento è che affidino ai veri super-tecnici della materia, gli strozzini, i cravattai insomma, o meglio ancora i rapinatori quelli con la calza di nylon in testa,che fa assomigliare la facce a quelle degli attuali ministri, indecifrabili e spente di ogni luce, prima di tutte quella dell’intelligenza.
Si, sarebbe consigliabile anche per noi: non verrebbero spacciate per azioni morali e salvifiche delle espropriazioni, delle ruberie, dei saccheggi. Identificheremmo meglio gli ostili, i nemici, quelli da cui guardarsi, invece di essere sollecitati a prestarci ai loro crimini come una obbligatoria e ineluttabile penitenza, invece di farci persuadere a essere più vittime consenzienti che complici di delitti compiuti ai nostri danni.

Non so a voi ma a me disturba e molto essere presa per cretina, essere bersagliata da una narrazione retorica pubblica, prima quella del sogno televisivo dei consumi, dei facili arricchimenti, dell’arrembaggio egoistico e effimero all’accumulazione senza limiti, adesso quello del rigore doveroso ed espiatorio. Se non sono mai stata una fan della decrescita felice, figuriamoci se mi faccio incantare dalla decrescita infelice dei bancari: un processo autoritario imposto per ridurci alla miseria condivisa da quasi tutti e all’arricchimento folgorante di pochissimi, una combinazione aberrante di pauperismo, austerità e regressione, per indicare non un temporaneo congelamento della crescita insensata ma per favorire una desiderabile (per loro) depressione, a spese dei paesi deboli e scriteriati dell’Europa del Sud e a beneficio dei padroni dell’Europa del Nord e delle élites loro complici. Decrescita e depressione coesistono nella costruzione di una nuova forma sociale autoritaria, indispensabile in basso perché lo sviluppo dei profitti continui in alto. E’ vasta la cerchia dei nuovi “futuristi” che vogliono contrabbandare come espiativo e augurabile l’asettica esaltazione del profitto e della sua natura intrinsecamente emancipatoria e della sua ineluttabile egemonia. Hanno voluto convincerci che l’esplosione del debito, con l’aumento altrettanto formidabile delle disuguaglianze non sia la manifesta della instabile e iniqua mutazione capitalistica, ma il prezzo inevitabile, transitorio e naturale di una nuova e progressiva avanzata dell’economia, fatale ma necessario come i miscredenti morti nelle crociate o i minatori seppelliti nei giacimenti di smeraldi, inesorabile come sempre sono i costi della storia, imperativo per l’ascesa umana.

Insomma le sanguisughe diventano benevoli motori di progresso e il loro talento è al servizio della spesa non produttiva, del gioco d’azzardo dei banchieri, della promozione di ricchezza reale di pochissimi grazie a flussi e circolazioni irreali e alle loro distruzioni creatrici, alle loro demiurgiche esplosioni seriali, una bolla dopo l’altra che deflagra nelle nostre povere vite.
Il ceto dirigente “occidentale” ormai è talmente compreso della sua missione, che, come dice oggi il Simplicissimus, la vive come un destino missionario, piazzando i suoi sacerdoti a ricoprire estemporaneamente ruoli e funzioni, occupando quello che resta dello stato, festeggiando con i suoi saccheggi la disfatta del nemico. Si sa che un nemico è necessario per rendere probabile, plausibili, necessaria e augurabile la guerra. Il loro nemico è il lavoro, preferiscono la “fatica”, le produzioni, preferiscono i derivati, le garanzie, preferiscono la precarietà, i diritti, preferiscono i privilegi arbitrari, i progetti, preferiscono le emergenze perenni, la concertazione, preferiscono l’autoritarismo, la cultura, preferiscono leggere bilanci, e distrattamente, tanto ci pensa Lusi, o calcoli, ma superficialmente che i conti degli esodati sono così monotoni.
La logica dello sviluppo e dell’incremento illimitato di potenza conduce alla guerra. E in guerra ci siamo già, le loro bombe sono più stupide che mai, sgretolano speranze, bellezza, felicità, sapere e libertà. Ci resta una utopia orrenda o forse solo miserabile: la guerra, ma vincerla, cominciare a pensare che qualcosa di “altro” è possibile, è necessario, per arrivare alla pace.


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