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La teoria perniciosa dell’ipocrisia italiota

Creato il 26 novembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
La teoria perniciosa dell’ipocrisia italiota Come tutti i Palazzi che si rispettino, soprattutto quelli appartenuti a santa madre romana chiesa vaticana, anche Palazzo Chigi, Montecitorio e il Quirinale hanno i loro bei passaggi segreti. Quelli che se giri il pomello della libreria a destra ti ritrovi nel Tevere, a sinistra nelle stanze delle cortigiane a far sesso a gogò. E poi abbondano di tunnel. Ce ne sono di tutte le specie e dimensioni, ad “altezza Fassino” e ad “altezza Brunetta”, con i cuori e le ragnatele come quelli dell’amore e della paura. Dentro uno di questi, l’altra notte fonda anzi, fondissima, sono passati nell’ordine Alfano e Letta, Bersani e Migliavacca, Casini e Rutelli per andare a incontrare il Professore che li attendeva nelle segrete di Palazzo Chigi. C’è da dire che Mario Monti avrebbe preferito che l’incontro fosse avvenuto alla luce del sole, in pieno giorno, possibilmente in piazza Montecitorio, ma i leader dei partiti, con in testa Alfano e Bersani, hanno ritenuto la cosa non fattibile visto che i rispettivi elettorati avrebbero preso male una eventuale foto di gruppo. Come avviene spessissimo in Italia, tutti i tentativi di “trasparenza” vengono puntualmente frustrati dall’aria di complottismo che spira, come il venticello di Don Bartolo, per portarsi appresso il cruccio della calunnia. Dalle nostre parti tutto deve essere fatto aummaumm, birra e salsicce, altrimenti non c’è gusto. Come ormai tutti sanno l’incontro segreto, che in un primo momento sembrava avesse avuto esisto negativo, con il passare delle ore ha assunto i contorni della felice merenda fra compari, quella dove ognuno porta qualche cibaria e tutti godono beati e un po’ sbronzi. Così si sono presentati i leader del Pdl, del Pd e del Terzo Polo da Mario Monti, con i cestini pieni di bei nomi di tecnici da nominare sottosegretari e viceministri insieme a un bel tocco di Grana Padano e di Lambrusco di Sorbara. La squadra di governo è pronta, definita nei minimi particolari, ogni casella è stata riempita con il nome giusto e la giusta professionalità e tutte le indicazioni dei leader veri (e non dei pupazzi presenti all’incontro) sono state rispettate. Silvio, ad esempio, ritratto come un pensionato qualsiasi al bar del tribunale di Milano mentre prende un decaffeinato con l’aspartame, ha dato ordini al suo lacchè preferito di tenere per sé due posti da sottosegretario, uno alla Giustizia e uno alle Telecomunicazioni che, quando l’abbiamo saputo c’è salito un vaffanculo spontaneo proprio dal profondo delle viscere. L’idea dell’ex Capataz è quella di far passare un legittimo impedimento ad uso ex presidenti del consiglio e di far diventare Mediaset la televisione di Stato ché tanto la Rai ormai l'ha uccisa da un pezzo. Uomini giusti al posto giusto e una equa ripartizione dei posti, come nei vecchi, cari governi democristiani nei quali il manuale Cencelli distribuiva scientificamente prebende e poltrone. I numeri sono presto dati, 5 saranno i fedelissimi del Professore, 13 i posti assegnati al Pd e al Terzo Polo, 12 quelli riservati al Pdl che ha fatto la parte del leone perché, come ha detto Alfano sostenuto da Gianni Letta: “Siamo il partito di maggioranza relativa e bisogna compensare in qualche modo il sacrificio del passo indietro di Silvio”. Alfano ha ufficializzato quello che sarà il tormentone della campagna elettorale del Pdl da questo momento a primavera: “Silvio si è dimesso perché ha un altissimo senso dello stato”. E non importa che Umberto Bossi, alle prese con il montaggio di un crozziano gazebo pro-Padania difficilissimo da mettere in piedi, abbia affermato “Gli hanno ricattato le imprese, crollate in borsa del 12 per cento in un giorno, e ha dovuto lasciare”. Silvio non ha perso tempo e ha smentito il suo amico per la pelle mandandogli a dire: “Le mie dimissioni sono motivate dal senso di responsabilità e nell’interesse esclusivo del paese”, al quale, aggiungiamo noi, vanno aggiunti svariati milioni di euro a tutela del suo impero. Silvio insomma è uno di quelli che, smentendo la famosa frase di un film (indovinello), preferisce essere sovrano in paradiso piuttosto che servo all’inferno. Lui è abituato ad avere tutto perché è quello che gli hanno permesso di fare milioni di italiani rincitrulliti dalle sue tivvù. E poi, in questo momento, a Silvio non dispiacerebbe affatto che Mario Monti decidesse di far pagare l’Ici anche alla Chiesa. In qualche modo deve vendicarsi di quei quattro porporati, e di quei comunisti di Famiglia Cristiana, che per anni gli hanno fracassato i cabasisi. Solo una toccatina, poco poco, dolce dolce. A toglierla penserà lui con il suo prossimo governo facendo una figura della madonna.

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