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La Turchia e l’arte della mediazione

Creato il 09 gennaio 2013 da Istanbulavrupa

La Turchia e l’arte della mediazioneGli ambasciatori turchi si sono riuniti per la quinta volta consecutiva – prima ad Ankara e poi a Izmir, dal 2 al 7 gennaio – per un’analisi approfondita degli ultimi sviluppi internazionali, per una valutazione dei risultati ottenuti nel 2012, per il rafforzamento del coordinamento tra le varie istituzioni che assicurano l’applicazione della visione di politica estera di Ahmet Davutoğlu: l’ideologo dello “stato centrale”, della “profondità strategica”, degli “zero problemi” che – come ministro dal 2009 – sta assicurando alla Turchia un più ambizioso e propositivo ruolo regionale e globale. Il tema designato era quello della “diplomazia umanitaria”: migliori servizi per i propri cittadini, soprattutto all’estero; aiuti tempestivi e mirati nelle aree di crisi; dimensione umanitaria, considerata oggi inefficace e sottodimensionata, del sistema delle Nazioni unite. I numeri sono eloquenti: gli aiuti all’estero della Turchia sono passati da 85 milioni di dollari nel 2002 a 3 miliardi e mezzo di dollari – in più di 100 paesi – nel 2012. La Somalia è stata discussa come success story della diplomazia umanitaria turca: soft power da manuale, per chi ha cominciato a presentarsi come “potenza virtuosa”.

La conferenza degli ambasciatori turchi ha avuto anche – oltre al premier Erdoğan e a numerosi ministri – degli ospiti stranieri: ad Ankara, il ministro degli esteri di Singapore, Shanmugam; a Izmir, i colleghi brasiliano Patriota e svedese Bildt. Insieme a Davutoğlu, questi ultimi hanno dato vita alla “Trilaterale della solidarietà per costruire la pace”: un’iniziativa politica – al momento molto informale – per cambiare la struttura e il funzionamento del sistema internazionale. La politica estera della Turchia, nella sua dimensione globale, è dichiaratamente trasformativa: reclama costantemente più equità e rappresentatività, ha preso parte alla formazione del G20 come alternativa al G20, si è fatta paladina degli stati meno sviluppati (Ldc) in seno all’Onu, promuoverà un tavolo Ldc-G20 quando sarà presidente di turno nel 2015, reclama una riforma inclusiva del Consiglio di sicurezza dell’Onu, cerca di neutralizzare le derive da guerra di civiltà attraverso l’iniziativa turco-spagnola – sempre sotto l’egida dell’Onu – dell’Alleanza delle civiltà, proprio al Consiglio di sicurezza è candidata a un seggio non permanente – un referendum sulla popolarità conquistata – per il biennio 2015-2016 (dopo l’esperienza ravvicinata del 2009-2010, eletta con 151 voti). Ha avviato una riforma robusta del ministero: per mettersi al passo coi tempi, per dotarsi degli strumenti – risorse, personale, sedi all’estero – necessari alla sua nuova politica estera; una politica estera di sistema: attenta agli affari per merito delle organizzazioni imprenditoriali, allo sviluppo attraverso l’agenzia Tika, alla cultura grazie all’istituto Yunus Emre, alle connessioni globali per mezzo della compagnia di bandiera Thy (Turkish Airlines).

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(per scoprire in cosa consiste l’arte della mediazione – così come proposta dal ministro degli esteri Davutoğlu – leggete l’articolo completo su L’Indro)

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