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La violenta repressione scattata contro chi era sceso in piazza per difendere il parco Gezi, l'ultimo spazio verde al centro di Istanbul, ha scatenato la più massiccia ed estesa protesta spontanea di piazza contro il premier Recep Tayyip Erdogan in oltre dieci anni di potere. Un decennio che ha visto una nuova classe dirigente arrivare alla ribalta, l'establishment kemalista ridimensionato e una crescita economica senza precedenti. Un decennio contrssegnato, però, anche da un irrigidimento sul piano dei costumi e del controllo sociale che ha fatto sorgere il timore di una involuzione islamista di un partito, l'Akp di Erdogan, che pur avendo le sue radici nell'islam politico radicale, aveva dato un'immagine che molti, un po' impropriamente, avevano accostato a quella della Dc italiana o della Cdu tedesca.
Più che da uno scivolamento verso la sharia, però, nonostante misure restrittive adottate recentemente (come quella sulla vendita di alcolici) o condanne per reati d'opinione, quello che ha fatto montare la protesta è l'atteggiamento autoritario del premier e il suo rifiuto di accettare qualunque confronto che non sia quello elettorale. La violenta repressione della manifestazione contro l'imposizione di una colata di cemento a Gezi Park è stato il detonatore di un malcotento che covava da tempo e che non ha ragioni economiche. Le manifestazioni sono rapidamente dilagate in decine di città, scavalcando ogni forma di organizzazione politica preesistente, e portando in piazza non solo i giovani e gli oppositori tradizionali del governo islamico moderato, ma anche casalinghe, ragazze con il velo, gente comune, elettori dell'Akp.
Qui di seguito la mia intervista per Radio Radicale a Fazila Mat, corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso, che spiega le ragioni e la natura della protesta che da giorni sta imperversando a Istanbul, Ankara, Smirne e in altre decine di città turche.
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