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E i "traffici" non interessavano solo formazioni moderate: anzi, in mezzo alle stradine dei campi profughi e tra le vie delle città di confine, si trovavano combattenti pronti per entrare nelle katiba qaedista di al-Nusra o in quelle dell'allora Isis, meta preferita per i foreign fighters. La ramificazione dei gruppi combattenti in Turchia è stata più volte messa sul tavolo: i servizi locali non potevano non sapere. Erano tutto quasi sotto la luce del sole: e gli uomini erano tanti; non un ago in un pagliaio, semmai si trattava proprio del pagliaio.
A distanza di tempo, la Turchia si trova impregnata nelle proprie incoerenze. Da una parte ha favorito il passaggio di guerriglieri oltre confine, con il solo obiettivo di distruggere Assad - e di esercitare, una volontà tutta esclusiva di Erdogan: la propria completa influenza nell'area (stile Impero Ottomano). Dall'altra parte, però, c'è la Nato, l'Occidente, che con le sostanziose iniezioni di denaro nell'economia turca, ha permesso ad Erdogan di crearsi la narrazione dell'uomo storico.
Ora la Nato chiede alla Turchia di far parte della coalizione (probabilmente insieme a USA, UK, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Canada e Australia, più la nevralgica Giordania) che combatterà lo Stato Islamico. Nel territorio turco ci sono basi fondamentali per l'Alleanza (oltre a quelle americane, già di fatto operative per gestire la situazione in Iraq). Ma allo stesso tempo, gli islamisti e il Califfato minacciano ritorsioni. Quelli che prima erano proxy per defenestrare il regime siriano (con rapporti impostati su una sorta di silenzio-assenso), sono diventati un problema - interno.
Ankara ha scelto la posizione Nato. Ha avviato attività per aumentare i controlli e sorvegliare i passaggi: ma quanto sarà "serio" questo impegno soltanto il tempo può dirlo. (E poi ormai i buoi sembrano essere scappati).
Il Wall Street Journal ha ricostruito in un'infografica la situazione al confine turco-siriano.
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