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La Turchia, la Palestina, il Kurdistan

Creato il 30 novembre 2012 da Istanbulavrupa

http://web.rifondazione.it/home/images/2012/121127palestina.jpgIeri l’Assemblea generale dell’Onu ha stabilito – con 138 sì, 9 no e 41 astenuti – di riconoscere la Palestina come “stato osservatore non-membro”; non è il riconoscimento della statualità, ma è un deciso passo in avanti: anche se per porre fine all’occupazione israeliana occorrerebbe ben altra pressione da parte della comunità internazionale, paralizzata dalla posizione anti-storica – sempre e comunque a fianco di Israele – degli Usa di Obama.

Nel sostenere le ragioni e i diritti dei palestinesi, la Turchia ha svolto un ruolo determinante: ha preparato una strategia condivisa, si è attivata diplomaticamente per convincere altri stati a votare sì; il ministro degli esteri Davutoğlu, ieri, è andato personalmente a New York per pronunciare un discorso molto determinato e forse per raccogliere qualche meritatissimo applauso. Anche l’Italia ha votato sì, ma la dichiarazione con cui Palazzo Chigi ha manifestato le proprie intenzioni perde di senso a causa delle condizioni suggerite: come quella assurda di chiedere ai palestinesi di non servirsi della Corte penale internazionale; mi chiedo: e perché mai i palestinesi non dovrebbero servirsi degli istituti previsti dal diritto internazionale? “A Netanyahu il Presidente [Monti], nel ribadire che questa decisione non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele, ha garantito il fermo impegno italiano ad evitare qualsiasi strumentalizzazione che possa portare indebitamente Israele, che ha diritto a garantire la propria sicurezza, di fronte alla Corte Penale Internazionale.” Portare “indebitamente” Israele di fronte alla CPI? In che senso, “indebitamente”? Non dovrebbe essere la CPI a decidere autonomamente se le richieste della Palestina saranno indebite o meno, se Israele ha violato o meno il diritto internazionale?

Detto questo, vorrei richiamare uno scambio di opinioni su twitter, qualche giorno fa: in cui è stato fatto un parallelo – questo sì, a mio avviso indebito – tra Israele/Palestina e Turchia/Kurdistan, dal giornalista del Corriere della Sera Guido Olimpio e da un giovane collega – che però ancora non ha capito la differenza tra giornalismo e attivismo politico – dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, Alberto Tetta (neanche si è reso conto, pur se vive a Istanbul, che la Turchia non è più quella degli anni ’90). Dicono: ma non c’è ipocrisia da parte di Ankara, visto che sostiene i diritti dei palestinesi e viola quelli dei curdi? Beh, a mio avviso le due situazioni sono molto diverse: le politiche della Turchia verso i curdi – anche feroci – hanno puntato all’assimilazione, mentre Israele – in quanto “stato ebraico” – non può asimilare chi ebreo non è; la Turchia ha infatti avuto un presidente curdo, Turgut Özal, e ha attualmente ministri curdi, come quello delle finanze Mehmet Şimşek: mentre in Israele ciò non può accadere (in 64 anni, c’è stato un solo ministro palestinese; o forse due, non ricordo bene), fino a quando non si trasformi in qualcosa di diverso.

Ma il punto è proprio questo: la Turchia si sta trasformando in qualcosa di diverso, anche se lentamente; l’identità curda, prima totalmente negata e repressa con la violenza anche brutale, sta cominciando a ottenere – spontaneamente – dei primi e determinanti riconoscimenti. Questo non significa negare le pesantissime violazioni dei diritti più elementari, il nazionalismo sfacciato che ancora permea la politica e la sfera pubblica: ma tacere del cambiamento significa essere in malafede, o non aver capito nulla della Turchia del XXI secolo.

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