Ma in pubblico gli anni dell’intolleranza non passano mai. … scrive Aldo Grasso, e aggiunge il monito di Nietzsche: «Lasciare accadere un male che si può impedire vuol dire praticamente commetterlo».
Ecco avete subito pensato a un’autocritica sua e dei fan di Monti a proposito dell’oltraggio alla democrazia, ai lavoratori, ai cittadini. Ecco, dopo un temporaneo obnubilamento di quelli che colgono personcine anche ammodo che subiscono l’appeal del douteux personnage, ha sferrato un bell’attacco alle esternazioni della compagine governativa contro gli italiani oziosi, mangiaspaghettiasbafo, mammoni, indisciplinati, incompetenti e ingrati. Ecco, si vergogna di essere stato supporter e complice indiretto, ma prono, di un presidente del consiglio esplicitamente sprezzante delle regole e delle procedure proprie della democrazia, che fa mostra di correttezza e algida separatezza dalle miserie del mondo preferendo la ricca rapacità di Goldman Sachs.
Beh vi sbagliate, il bersaglio, Diliberto, è un cretino ma, guarda un po’ un cretino all’opposizione. Perché ammettiamolo viene meglio sparare sulla croce rossa, se la croce rossa è parcheggiata da un po’ in una strada periferica, senza benzina e senza sirene.
Non c’è dubbio che la Croce Rossa in oggetto si meriti reprimende e sberleffi: il trinariciuto giovinotto vanta uno sciocchezzaio talmente esuberante da danneggiare il comunismo italiano ben più delle abiure di Veltroni o del perenne e visionario antagonista Berlusconi, l’unico che ancora ci crede: import export di salme eccellenti, roghi simbolici di bandiere, slogan da far impallidire maramaldo. E lui che fa il kamikaze imbottito di tritolo si, ma al Billionnaire.
Ma stavolta ha proprio fatto salire il sangue alla testa al fumantino Grasso. Altro che cretino, il Diliberto si è macchiato di una colpa ben più ignominiosa, ha combinato maleducazione (inappropriata in questa fase storica segnata sì dall’ingiustizia, ma virtuosamente compita) e irriverenza (ancora più irriguardosa e insolente in quanto rivolta a una signora ministra, professoressa e perle-munita).
Colluso con la maglietta ingiuriosa, non solo non la condanna con la doverosa riprovazione. Ma peggio ancora, accusa il Grasso, non chiede scusa pubblicamente.
Smentite e scuse sono materia insidiosa. Uomini di mondo adusi al bon ton hanno sempre concordato sull’opportunità di astenersene per non trasformare una gaffe incauta in un improvvido scandalo. Ma era gente che consigliava di non comparire sui giornali più di due volte nella vita. Mentre tutti i protagonisti della vicenda, effervescenti o frugali, mostrano di preferire la visibilità alla reputazione.
Ma a essere proprio innamorato dell’istituto encomiabile e edificante della discolpa, del mea culpa, dell’obbligatoria giustificazione il Grasso a nome del popolo italiano sai quante ne avrebbe dovute esigere in questi oltre 100 giorni e mille ingiurie dai ministri in carica. Quelle commesse per tracotante disprezzo della nostra dignità, dei nostri diritti, della nostra intelligenza. Quelle commesse per indifferenza algida e offensiva delle nostre vite e speranze. Quelle commesse perché maleducati o cretini non sono mica solo i Diliberto.
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