Lucrezio (Titus Lucretius Carus) è un poeta della Roma preaugustea (o di Cesare) nato presumibilmente nel 98 D.C., e morto all’età di 55 anni (ma molti sostengono che sia morto, pazzo e suicida, all’età di 44 anni).
Fu un contemporaneo anche di Cicerone, alquanto più giovane di lui, che curò la pubblicazione dell’unica sua opera
pervenuta a noi “De Rerum Natura” un capolavoro epico e filosofico che espone le idee del pensatore Epicuro (III millennio a.C.) e dei suoi epigoni.
Molto poco si sa della sua vita e delle sue origini: se sia nato da una nobile famiglia (come i tre nomi farebbero pensare) oppure da una famiglia di umili origini.
Quel che si per certo è che la sua opera contiene la descrizione delle teorie scientifiche, fisiche e morali allora conosciute e seguite.
Le idee ivi contenute hanno influenzato largamente il pensiero occidentale successivo sino ai nostri giorni.
La critica, all’unanimità, ha sino ad oggi sostenuto che l’opera di Lucrezio contiene le teorie ed il pensiero del pensatore greco Epicuro .
Ma più di recente, uno scrittore italiano, Angelo Ruggeri, molto addentro agli studi classici e autore di numerose e pregevoli traduz<ioni dal latino all’italiano e all’inglese (v. link sottostante per una interessante traduzione in lingua inglesa del Proemio all’opera di Lucrezio dedicata a Venere) ha messo in dubbio queste critiche che, in maniera pedante e pedissequa, si limitano a ripetere la cieca adesione di Lucrezio alle idee del grande filosofo greco Epicuro.
In effetti riesce difficile anche a noi ritenere che Lucrezio pretendesse di affermare un pensiero che possiamo definire, ante litteram, qualunquista e nichilista, come quello epicureiano in una Roma lanciata alla conquista del mondo allora conosciuto, dove la carriera, l’ambizione, la protezione degli dei e il culto della cosa pubblica erano i quattro pilastri della civiltà da tutti condivisa ed accettata, in pieno contrasto con il pensiero di Epicuro che, al contrario, non riconosceva alcun ruolo (né attivo né passivo) agli dei e che riteneva che il singolo dovesse raggiungere una sorta di stato autarchico in cui bastare a se stesso, fregandosene della res publica, e pensando soltanto alla propria felicità e al proprio benessere materiale.