Quando il cinema si fa grande sfruttando le altre arti, non si può chiedere di più. Così come non si chiedere di più a Roman Polanski, un regista che nonostante l’età avanzata (ottant’anni), una carriera straordinaria e le innumerevoli vicissitudini personali, continua a stupirci. Rimanendo sulla scia “teatrale” del precedente Carnage, Polanski propone un altro film costruito su una netta unità spazio-temporale. Ma a differenza del suo penultimo lavoro, questa volta lo spazio è proprio un teatro, il suo palco, la platea. E’ lì che si muovono i due protagonisti dell’opera, Thomas, regista che ha appena finito una serie interminabile (ed inutile) di provini per il ruolo femminile della sua nuova pièce, e Vanda, attrice che piomba a fine giornata a sconvolgere l’autore con la sua inaspettata capacità interpretativa.
E’ proprio nel momento in cui Thomas accetta, dopo una lunga insistenza, di provinare Vanda che La Venùs à la Fourrure entra nel vivo e ci immerge nel suo folle gioco ad incastro in cui finzione e vita sembrano non avere più nessun confine tra loro. Il cinema rappresenta la vita che mette in scena il teatro e il teatro che mette in scena la vita; le emozioni dei personaggi diventano quelle degli attori che li interpretano e viceversa, i ruoli si scambiano, la vita reale fuori da quell’isolato teatrino di Parigi entra in campo attraverso le telefonate che riceve Thomas, il provino diventa una seduta psicanalisi. Polanski non mette freno alla stratificazione del suo racconto e ogni elemento nuovo è pronto ad aggiungere un’altra dimensione ed un altro livello di lettura. Così si va sempre più a fondo, nell’arte, nella realtà, nei personaggi, negli attori, negli stati d’animo di un uomo e una donna incontratisi per caso per mettere a nudo le loro verità più profonde.
Non c’è tregua in La Venùs à la Fourrure. Nonostante l’ambientazione claustrofobica, il film ha un ritmo forsennato che aiuta a coinvolgere lo spettatore nel turbine meta-artistico inventato da Polanski, il quale dietro all’apparenza di una messa in scena estremamente classica cela una regia superba che sa infondere il racconto di sensualità, profondità, amarezza, stupore con un solo cambio d’inquadratura, un taglio di montaggio, un primo piano, un campo-controcampo di sguardi complici ed impauriti al tempo stesso.
Ogni parola su questo film è una parola di troppo, perché l’arte è inspiegabile quando tocca il sublime. E La Venùs à la Fourrure è arte pura, senza mezzi termini, capace di ipnotizzare letteralmente lo spettatore, di rinchiuderlo in se stesso in uno stato di estasi. Vedere per credere, per ammirare il nuovo capolavoro di un maestro senza tempo.
di Antonio Valerio Spera