Ogni volta che comunico che ho vissuto una parte del mio periodo universitario in un convitto di suore, suscito sempre espressioni stupite, per non dire sconvolte. Vedo gente imbarazzata, che non sa che cosa rispondere. Cosa si dice ad una ragazza che viveva dalle suore? Ma dalle suore non ci vanno quelle che hanno un qualche problema, le orfanelle, le ragazze madri, quelle che vogliono diventare suore a loro volta?
Quindi, solitamente, si ha a che fare con i seguenti personaggi\e e le loro tipiche espressioni\comportamenti:
- Quelli che interrompono i 30 secondi di silenzio con un strozzato: “oh, dalle suore! E come mai?”. Vogliono far sembrare la tua scelta come la più normale del mondo ma in realtà pensano che sei una povera sfigata e conoscendoti come una persona “normale”, non riescono a capire i motivi per i quali vivi in un istituto di suore. La loro espressione, ahimé, li tradisce ;
- Quelli che ti scoppiano a ridere in faccia e iniziano a prenderti in giro con le tipica battuta “Suor Pina”, usandola tutte le volte che ti vedranno, anche a distanza di anni. Simpatici umoristi.
- Quelli a cui non frega nulla ma ti chiederanno “Ma vi cucinano le suore?”, “Vi costringono a dire il rosario?”…. sì, e magari usciamo tutte in fila per tre indossando un saio!
La scelta di andare a vivere da loro è stata, ovviamente, una scelta imposta. Quale diciannovenne sana di mente andrebbe mai in un collegio di sua spontanea volontà? Anche se, oggi come oggi, dalle suore si va per comodità: paghi una retta in cui sono comprese le varie bollette (luce, acqua, gas…) e le pulizie e non hai il problema che ti entrino estranei in casa. Ma vallo a fare capire ad una diciannovenne fissata con gli Iron Maiden, Ozzy Osbourne e i vestiti neri.
D’Artagnan
Sulle suore e i loro convitti esistono un sacco di leggende metropolitane che si rifanno più a miti preistorici che alla verità attuale. Mettiamo perciò da parte ceci e donne baffute che ti legano il braccio sinistro alla sedia se sei mancino. In un contesto dove queste “amabili” figure nere vincono The Voice e i vescovi durante la messa cantano Noemi e Mengoni, pensiamo ancora a queste amabili donnine come le boia che per punirti ti fanno inginocchiare sui ceci? Tzè, trogloditi! Siori e Siore, con gli anni le suore si sono evolute, hanno appeso al chiodo la chitarra con la quale animavano la messa e sono diventate delle abili Business Manager. È vero che qualcuna conserva il baffo alla D’Artagnan (anche se molte si sono convertite all’estetista), qualche altra è ancora poco incline all’utilizzo del sapone e una piccola parte pensa di essere la suora a capo del suo esercito di orfanelle ma sono tante quelle che hanno installato Whatsapp, che ti superano per strada con la macchina sgommando e imprecando e che urlano parolacce al telefono se fai loro un piccolo scherzetto ( testato! Ma non diciamo niente). Quando l’Italia, anni or sono, vinse i mondiali, io ero chiusa in camera a studiare logistica per l’esame del giorno dopo, le suore, invece, erano per strada con una bandiera a sfilare. Ah! E qualcuna ha anche il wallpaper di Brad Pitt (io ho quello con il mio gatto!!!)
Per quanto possa sembrare strano, tante sono le ragazze che decidono di andare in un convitto monastico, il mio primo anno mi ritrovai con oltre 60 donzelle: c’era la liceale, l’universitaria, la lavoratrice, la vecchina senza famiglia che era stata “adottata” anziché finire in un ospizio. Stare in un collegio di suore, durante il periodo universitario, significa vivere in una normale casa dello studente ma con più coinquiline. È vero, esistono delle restrizioni, ma alcune, non considerando l’orario di rientro, sono delle vere e proprie manne dal cielo: non capiterà che ti dovrai litigare con la coinquilina perché a tua insaputa ha organizzato un festino con 150 persone e 10 dormono nel tuo letto, che non è stato rispettato il turno delle pulizie e l’immondizia giace nel balcone da mesi e qualcuno ha già iniziato a dare i nomignoli ai sacchetti affezionandosi o che ci siano balle di polvere che volano nel corridoio neanche fosse il far west.
Le suore non ti cucinano, non ti lavano nulla e non puliscono niente! Non lo fanno per loro, figuriamoci per una studentella universitaria. Siedono alla loro tavola a forma di ferro di cavallo quando le chiamano per pranzare, ti invitano ad un qualche evento organizzato dalla chiesa quando ti incontrano (se ti incontrano) nelle scale, gestiscono il convitto dal punto di vista organizzativo e contabile e, a giorni random, rompono le palle a una studentella presa a caso a causa di una qualche fantomatica lamentela ricevuta. Sono quelle ombre che vagano per il collegio con le loro vesti nere o bianche, in base al periodo dell’anno, e che vedrai davanti alla tua porta ogni 5 del mese per riscuotere la retta; che durante l’ora di pranzo e/o cena spariscono e vane saranno le tue richieste di aiuto; che viaggiano in gruppo a bordo di una panda bianca; che non vedrai mai in pigiama e che vengono identificate dalle ragazze con dei nomignoli.
Le suore, nonostante i canali diretti con l’Altissimo, sono esseri umani e in quanto tali hanno i loro pregi e difetti (forse più difetti che pregi …ma vabbè). C’è la suora buona, quella simpatica e, ovviamente, quella stronza. Io ho avuto modo di conoscerne qualcuna, per esempio:
La stramba Suor Lovely, l’economa sorda come una campana ma che si auto dotava di un amplifon naturale quando bisognava riscuotere i dindini. Non c’era sussurro che passasse inosservato se la retta non avevi pagato!
Suor Rum, che con l’alcool non aveva nulla a che fare, credo sia stata la suora più triste che io abbia mai conosciuto. Era perennemente malata, o almeno così diceva, e si lamentava in continuazione con la sua flebile voce dei vari acciacchi e reumatismi. Ogni momento era buono per ricordarti che tutti quanti siamo destinati a morire. Lasciava nel salone opuscoletti sul culto dei morti e rispondeva al tuo buongiorno con filippiche alle Memento Mori. Abbiamo sempre supposto fosse una parente lontana di Samara Morgan poiché non siamo mai riuscite a farle una fotografia senza che questa venisse mossa o bruciata.
Uno dei tanti opuscoli distribuiti da Suor Rum
Ho sempre supposto che soffrisse di allucinazioni, si lamentava di continuo di fantomatici rumori provenienti dal salone durante la notte anche quando non c’era nessuno. Era solita far sparire gli utensili riposti in cucina e lasciare avvisi che ne giustificassero la mistica scomparsa, per restituirli prontamente dopo che un plotone era andato a lamentarsi in direzione.
Avviso
Suor Ti spiezzo in due che, nonostante l’aspetto rude e virile, era di una dolcezza e di una simpatia infinita. Bassina e tarchiata, era solita guardare le novelline collegiali con sguardo truce, per poi scoppiare a ridere dopo qualche secondo. Una volta, durante una tiepida giornata primaverile, decisi di andare a studiare nel giardino del collegio. Seduta al sole con i libri sulle gambe, la mia attenzione fu catturata da delle mani che, a intervalli regolari, comparivano sopra ad una siepe. Era lei, suor te spiezzo in due, che faceva “ginnastica”. Il suo allenamento consisteva in svariati saltelli e in una specie di marcia.
Ti Spiezzo in due!
Suor Puzzona, una donnina tranquilla, riservata, silenziosa e dotata di un potere letale: ogni volta che andava in bagno ad espletare i propri bisogni fisiologici, le maleodoranti esalazioni da lei emanate lo facevano sapere a tutto il collegio.
La mitica Suor Penguin! Compagna di mille chiacchierate (per lo più pettegolezzi) davanti la macchinetta del caffè. Lei, una portinaia dall’età indefinita – ho sempre supposto fosse un essere millenario- e dall’aspetto goffo e impacciato tanto da farla sembrare un grosso pinguino reale, da qui il suo nomignolo. Credo che non l’abbia mai vista aprire gli occhi, era perennemente tormentata dalla luce solare ma, nonostante ciò, nulla le sfuggiva! Sapeva tutto di tutte. Spiava abilmente dalle finestre e, una volta raccolte le sue notizie, le raccontava con fierezza, magari correggendoti nel momento in cui tu eri ancora ingenuamente convinta che x fosse fidanzata con y. Sparlava a più non posso di chiunque e, soprattutto, mi riprendeva quando indossavo le canotte: Queste magliette le mettono le donnacce che vogliono fare vedere le tette! (e se lo dici tu…!)
Suor Penguin
Suor Supposta, detta così poiché a vederla, soprattutto quando indossava l’abito bianco, a causa della sua testa appuntita sembrava una specie di missile umano. Lei era una Major del collegio, un pezzo grosso: la superiora. Come Suor Te spiezzo in due, cercava di mantenere un aspetto austero e severo, ma in realtà era una bonacciona amante del calcio.
Suor Cazza, l’emblema della cattiveria umana. Aveva dei bellissimi occhi cerulei ma era dotata di una cattiveria senza pari. Era quella che ti accusava anche quando non facevi nulla; che spegneva la luce mentre eri in bagno perché “la luce si paga“; che ti rincorreva quando uscivi (o rientravi) da casa per scoprire con chi andavi e cosa facevi; che ti trattava come una cara amica ma, come poteva, ti pugnalava alle spalle peggio di Bruto; che ti vedeva come un assegno dotato di gambe; che ti giudicava come se lei fosse una sorta di eletta e tu, ragazzetta senza velo monacale, una peripatetica dei peggiori borghi. Insomma: una persona orribile, spregevole, falsa e ipocrita. E il suo aspetto, la sua fisionomia ed espressione dicevano tutto di lei: ho sempre supposto che fosse una rettiliana.
Suor Love, la mia suora preferita. Ti accoglieva sempre con un sorriso, riempiendoti di abbracci e baci. Cercava, invano, di fare battute e ti ritrovavi a ridere lo stesso per via della sua lingua: un mix fantasioso di italiano, spagnolo e chissà cos’altro. Prendeva in giro le sue consorelle facendo boccacce e gestacci come loro si giravano. Non so che fine abbia fatto, ma gira voce che attualmente sia ritornata nel suo paese natale, che si sia svestita, sposata e abbia dei bambini.
Suor Trick. Il suo nome nacque in quanto qualcuna un giorno decise che il suo aspetto ricordava quello di un enorme e grasso tricheco e siccome suor tricheco suonava male decidemmo tutte insieme di battezzarla Trick. Suor Trick, braccio destro di Suor Cazza, era una di quelle convinte di essere al comando di un esercito di piccole orfanelle e di poter comandare e imporre cosa fare (illusa!). Era la mia Nemesi, la mia tortura. Quando non mi vedeva in salone la mattina a fare colazione, grazie al passe-partout, veniva in camera a svegliarmi e io, facendo finta di essermi spaventata, le urlavo in faccia. Era un’impicciona: saliva di continuo nel piano di noi ragazze per controllare cosa facevamo, mangiavamo o guardavamo in tv. La sera, dopo un certo orario, era solita salire per ricordarci che era tardi e dovevamo andare a dormire. Ovviamente nessuna le dava peso, ignorandola completamente e lei se ne andava via borbottando. Una notte, siccome ci eravamo attardate più del dovuto nella sala comune per via di una piccola festicciola, venne con gli occhi iniettati di sangue con indosso le sue fantastiche ciabatte color verde pistacchio con su disegnato un’enorme cuore fucsia e, sotto il saio, un candido pigiama bianco tempestato di cuoricini (certe cose fatichi a dimenticarle). Quasi quotidianamente si litigava con qualcuna poiché risultava essere impicciona. Ogni tanto, rendendosi conto di esagerare o dopo l’ennesima lite, mandava su buste pieni di gelati prossimi alla scadenza raccattati in un qualche angolo buio del congelatore.
Suor Trick
Tante altre furono le suore con le quali ho avuto a che fare: Suor School, Suor Braveheart, Suor Baffa … I miei tanti anni in collegio e i continui cambi “suorali” mi hanno dato modo di conoscere a fondo queste donne, che alla fin fine non sono altro che essere umani pieni di difetti e pregi. Spesso mi è capitato di sentire gente parlare delle suore per stereotipi: qualcuno le identifica come delle stronze frustrate e altri come delle sante immacolate. Per quanto mi riguarda io le vedo come delle persone che hanno fatto la loro scelta di vita e non mi sento di rispettarle a prescindere da tutto o avere delle idee su di loro solo perché indossano un abito definito sacro. Alcune le porto nel cuore e le ricordo con affetto ma di altre ho una scarsa stima, come si suol dire: l’abito non fa il monaco, in questo caso la monaca.
Attualmente, sebbene la Pina di qualche anno fa si stupirebbe nel leggere queste parole, ricordo con nostalgia gli anni passati in collegio. Vivere con tante ragazze sicuramente ti forma tantissimo come persona e inoltre negli anni sono nate delle amicizie che sono sicura saranno indissolubili. Penso alle feste a sorpresa organizzate, alle scenette comiche che imbastivamo, alle riunioni notturne nella mia stanza o, in alternativa, quando c’era chi fumava, in una specie di soffitta adibita a ripostiglio, agli scherzi fra noi ragazze, al ciclo mestruale sincronizzato, alle diete di gruppo, alle cene notturne, alle maratone di film, alle signore che facevano le pulizie ma che noi consideravamo le nostre coinquiline della mattina. Penso a quando una di noi aveva un appuntamento e doveva prepararsi: c’era chi ti faceva trucco e parrucco, chi ti prestava vestiti e bigiotteria e, addirittura, se volevi far finta di saper fare i dolci c’era anche chi te li preparava. Ovviamente c’erano anche le liti, gli screzi, la stupida di turno che era capace di far litigare tutte per giorni. Ma quando era tutto calmo e tranquillo, c’era una forte armonia. Armonia che, ahimè, non ho ritrovato quando mi sono trasferita in un appartamento.
Perciò nonostante tutto, ripenso a questi anni con piacere e una piccola parte di me ringrazia tutte le care sorelle pinguine che mi hanno fatto tribolare con la loro cattiveria. In fondo, ad ogni cattiveria subita corrispondeva un piccolo scherzetto e ricordo ancora quando entrai nell’ufficio di Suor Lovely per pagare la retta e sul planning degli appuntamenti troneggiava il nome di Rocco Siffredi. Ingenuamente le chiesi: “Suor Lovely, perché c’ è scritto Rocco Siffredi?”, lei distrattamente mi rispose: “Ha preso un appuntamento per visitare il collegio e far scegliere una camera alla figlia”, e io, sorridendo maliziosamente: “Suor Lovely, Rocco Siffredi è un porno attore e non credo voglia far stare la figlia qui“. L’espressione della sua faccia fu impagabile e vorrei tanto sapere cosa direbbe se, a distanza di anni, sapesse che quel Rocco Siffredi altri non era che un mio amico che costrinsi a chiamare per farci due risate.