Nel 1971 fu il primo vino della Sardegna ad ottenere il prestigioso disciplinare, ma le regole troppo stringenti e i cambiamenti del mercato ne hanno compromesso il successo, mettendone a rischio la sopravvivenza.
Un piccolo tesoro che rischia di andare perduto, vanificando una tradizione vinicola di grande valore, consolidatasi nel corso dei secoli. E’ l’amaro destino che sembra prospettarsi per la Vernaccia di Oristano, vino sardo che negli ultimi decenni ha visto via via calare la produzione e i consumi.
Ma è un destino a cui produttori e appassionati vogliono ad ogni costo ribellarsi, tanto da aver organizzato nell’ultima settimana di settembre una manifestazione ad hoc, chiamata “Le vie della Vernaccia”, promossa da fondazione Sa Sartiglia, Regione Sardegna, Sardegna Promozione e Consorzio UNO, e cioè il consorzio che gestisce la sede universitaria proprio ad Oristano, offrendo agli allievi il corso di laurea in viticoltura ed enologia.
Conferenze, degustazioni, incontri guidati e tavole rotonde hanno riportato al centro della scena questo vino liquoroso, saporito ed aromatico grazie all’invecchiamento in botti di castagno o rovere, che nel 1971 fu il primo tra quelli sardi ad ottenere il disciplinare DOC. Un riconoscimento importante che, però, a una quarantina d’anni di distanza sembra quasi aver portato ai produttori più grattacapi che benefici. Il disciplinare (che non è mai stato modificato) viene ritenuto infatti troppo rigido per adattarsi a quello che è diventato oggi il mercato dei vini. A “complicare” ulteriormente il quadro nel 1995 è arrivato poi il disciplinare che sanciva la nascita dei vini della Valle del Tirso IGT, pressapoco nella stessa zona, per un panorama sempre più frazionato e complicato agli occhi del consumatore.
Cambiamento nei gusti del pubblico, certo, ma anche un ipertrofico aumento dell’offerta di prodotti simili o alternativi provenenti da tutto il mondo, grazie alla globalizzazione. Il mercato è sempre più aperto, sugli scaffali delle enoteche e della grande distribuzione giungono bottiglie provenienti anche da territori lontanissimi come USA o Nuova Zelanda. Conseguenza quasi logica che un piccolo territorio come l’oristanese (l’estensione dei terreni che possono produrre DOC Vernaccia di Oristano è di soli 35mila ettari circa) ne resti quasi schiacciato, a dispetto della qualità estrema dei prodotti.
Quello che chiedono a gran voce i produttori (a “Le vie della Vernaccia” c’erano gli esponenti delle cantine più importanti, tra gli altri Fratelli Serra, Contini, Putzolu, Silvio Carta, Famiglia Orro, Pippia e Produttori Riuniti) è uno svecchiamento del disciplinare, cioè nuove norme più elastiche per poter “modernizzare” il prodotto e renderlo nuovamente appetibile. In parallelo a questo sforzo, che naturalmente non può che partire dalle autorità territoriali, bisognerebbe poi sviluppare una maggiore capacità di fare sistema tra i produttori, consorziandosi e studiando strategie di gruppo adatte all’attuale contesto commerciale, a cominciare magari da quelle eno-gastronomico-turistiche tanto sbandierate ma mai perseguite davvero fino in fondo. Un vero peccato per un vino e un’isola davvero unici.
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