Nella nuova casa, che oramai sta intorno a lei prendendo a forma, lo spazio per le librerie è ampio e ben organizzato. Non solo permette alla ‘povna di costruire uno spazio a sua misura (cioè, appunto, foderato di volumi ovunque), ma (almeno per ora – e diversamente da via dei Matti) preserva la sua camera da allergica da incursioni troppo prolungate nel mondo della polvere (perché il grande scaffale di letteratura giovanile che prima stava di fronte al letto ha trovato un suo preciso ubi consistat in corridoio). Ciò nonostante, il ritmo di lettura della ‘povna ha subito un improvviso arresto, perché leggere è specchio della sua tranquillità e del suo benessere, e ancora intorno a lei le mensole restano irrimediabilmente vuote, le cose da fare troppe, e il tempo da dedicare allo svuotamento compresso tra le mille attività e il pendolarismo spinto: piccola città, altro mondo, città della scuola.
Così, per non mancare all’appuntamento, ricorre alla lettura di qualche tempo fa (2010, di settembre). E partecipa con La vita davanti a sé al venerdì dei libro.
La vita di Momò corre per le strade della banlieu parigina come quella del piccolo Kim di Kipling e (quindi) del Pin del Sentiero di Calvino. Una straordinaria invenzione linguistica, capace di dipanare la storia del protagonista in un intreccio stilisticamente mozzafiato, dà corpo alle avventure di una formazione che si svolge tutta nel giro di un quartiere e di una manciata di anni. E così, insieme a Momò, arrivano i tratti della variopinta società, calorosa e dolente, che intorno a lui prende vita. Sull’importanza delle relazioni scelte, e sui legami di sangue che sono tali, nonostante (proprio in nome) della mancanza ereditaria di un legame. Alla fine, e prima di tutto, vince il potere della parola (Momò come Victor Hugo), arma affilata e consapevolmente più potente di qualunque rivoluzione. Dirompente (mentre “el capitan” Martin Amis, con un occhio alla Freccia del tempo, prende appunti e ringrazia).