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LA VITA DELLA MADONNA Secondo le contemplazionidella pia ...

Da Eleonoraely
LA VITA DELLA MADONNA Secondo le contemplazionidella pia ...

LA VITA DELLA MADONNA Secondo le contemplazionidella pia Suora STIGMATIZZATA

Anna Caterina Emmerick

41 – Visioni intorno alla vita di Maria nel tempio Noemi, la maestra delle vergini del tempio

Nel corso di undici anni, nella ricorrenza della solenne presentazio­ne della Santa Vergine al tempio, la Veggente rivelò le sue contemplazioni sul soggiorno di Maria in questo luogo.
Maria era per la sua età abbastanza abile nei servizi al tem­pio, vidi che trascorreva i suoi giorni nel luogo sacro lavando e tessendo esili bende attaccate a lunghi bastoni e adoperate dai sa­cerdoti, o la vidi intenta a lavare i vasi dei fiori e delle offerte.


Spesso la scorsi solitaria nella sua cella, assorta nella preghie­ra e nella meditazione, immersa nello studio dei Sacri Testi e nel lavoro. Qualche volta la vidi in compagnia delle altre vergini nel­le loro celle. Mai la vidi punita corporalmente o con la mortifica­zione, non ne aveva bisogno. Come tutte le sante persone si nu­triva solo per conservarsi in vita, non usava altri cibi al di fuori di quelli che aveva scelto ed era tutta dedita alla continua offerta dei suoi voti fervidi. 
Alzava al cielo le più ferventi preghiere, e mentre tutti dormivano si alzava dal suo giaciglio e pregava, mentre abbondanti lacrime scorrevano, irrorandola di divino splendore. Quando divenne adulta, la sua veste mi apparve sem­pre più azzurra e scintillante. Durante la preghiera si teneva velata e così pure quando par­lava con i sacerdoti o quando andava nella sala terrena del tem­pio a prendervi o a recarvi il lavoro.
Il tempio aveva dai tre lati vasti locali in cui vi si conservavano molti arredi custoditi dalle ancelle; questi locali mi riportano alla mente le nostre sagrestie. Vidi la Beata Vergine passare i suoi giorni in contemplazione ed astinenza, rapita dall’entusiasmo della preghiera, sembrava quasi che non fosse sulla terra ma vivesse in una condizione spirituale di abnegazione assoluta. 
Compresi che spesso veniva consolata dalle benedizioni cele­sti. Immenso era il suo desiderio di vedere avverata la Profezia, nella sua umiltà osava appena accennare al desiderio di divenire un giorno serva della Madre del Salvatore. 
Non pensava nemmeno lontanamente di essere Lei la predestinata da Dio. Noemi aveva circa cinquant’anni e come le altre inservienti del tempio proveniva da famiglie essene. Da costei Maria Santissima imparò a tessere i nastri. 
La Vergine l’aiutava a ripulire i vasi e gli altri arredi sacri dal sangue delle vittime; l’aiutava inoltre in cucina nella preparazione dei pasti per le donne del tempio ed i sacerdoti. I pasti consistevano spesso in alcune parti della vittima sacrificata. Quanto più Noemi diventava anziana tanto più la Santa Fan­ciulla si affaccendava per soddisfare le esigenze della comunità religiosa.
Zaccaria la visitava spesso quando era di servizio al tem­pio. Anche Simeone la conosceva. Ai sacerdoti non era ignota la predestinazione della Santa Vergine. La sua sapienza, la sua bontà, e tutto il suo contegno non erano passati inosservati agli attenti religiosi, nonostante Lei aves­se cercato di velarli col più profondo senso di umiltà. 
In seguito ai loro vaticini e alle profonde meditazioni, i preti del tempio avevano saputo perché Costei viveva nel mondo pur senza prendere parte al mondo. Essi, specialmente i più anziani, scrissero molte cose intorno alla Madre di Dio. Infatti, se ben mi rammento, una volta mi vennero mostrati quegli scritti che giace­vano polverosi in mezzo ad antichissime pergamene.
A questo punto l’estatica sospese le visioni della Madonna al tem­pio e diede invece alcune notizie sulla gioventù di San Giuseppe.
42 – Visioni sulla gioventù di San Giuseppe: la casa di Giuseppe – L’infanzia e la famiglia – Le angherie dei fratelli. La fuga – I fratelli maggiori di Giuseppe. Le pie Essene e il vecchio falegname – L’Angelo del Signore. Notizie su un fratello maggiore di Giuseppe.

Queste visioni furono comunicate dalla Veggente il 18 marzo 1820 ed il 18 marzo 1821.

Vidi molte cose relative alla gioventù di San Giuseppe, dirò quello che mi rammento: Giuseppe era il terzo di sei fratelli. Suo padre si chiamava Giacobbe ed abitava in un grande edificio vicino a Betlemme
La costruzione, che era la casa paterna di Davide, aveva qual­che similitudine con quelle dell’antica Roma, un lato dell’edificio era circondato da numerose colonne e da un ridente pergolato. 
Sot­to questo portico vidi alcune figure o statue che mi parvero per­sonaggi molto antichi. Da un lato del cortile vi era un pozzo ricoperto da un tempietto di pietra. Fontane simili a fauci di belva zampillavano acqua fresca. Non si vedevano finestre lungo il piano inferiore della casa, solamente alla sommità si scorgevano alcune aperture circolari. 
La casa aveva una sola porta. In alto, ai quattro lati, si mostravano delle piccole torri che terminavano in piccole cupole da dove si poteva osservare tutto quello che accadeva intorno sen­za essere visti. 
Il palazzo di Davide in Gerusalemme portava simili torri e fu appunto da una di queste che Davide osservò Betsabea nel bagno. 
Giuseppe e i fratelli dormivano tutti in una sola stanza vicino ad una torre, e appena sopra, al piano superiore, abitava un vecchio ebreo che era il loro istruttore. I letti erano disposti in cerchio; consistevano in tappeti che durante il giorno venivano arrotolati verso la parete. 
I diversi gia­cigli erano separati da stuoie mobili. Vidi questi fanciulli giocare con pupazzi raffiguranti animali in forma di “cagnotti” (così Anna Caterina usa chiamare tutte quelle figure di animali o quei brutti visi che non conosce).
I genitori di Giuseppe, non saprei definirli buoni o tantomeno cattivi, non si curavano dei loro figli e avevano con loro ben pochi contatti. Giuseppe aveva circa otto anni e differiva assai nel contegno degli altri fratelli, aveva molto talento e imparava ogni cosa rapi­damente; era di temperamento mite, semplice, silenzioso, devoto e senza superbia. 
Spesso veniva insultato dai fratelli che lo burlavano e lo perseguitavano. Ciascuno di essi aveva la propria aiuola, con dei pali sui quali si potevano scorgere delle immagini sacre, simi­li a quelle impresse sulle tende di Anna e Maria, al tempio in Ge­rusalemme e in tutto il mondo ebraico. 
Vidi quelle figure pure in Egitto, con qualche variazione. Pensai che rappresentassero Mosè quando ancor bambino fu lasciato sul Nilo. 
Vidi i fratelli distruggere l’aiuola, i cespugli, i fiori e gli albe­ri di Giuseppe, cagionandogli grave dolore. Durante la preghiera i fratelli lo prendevano a calci e lo urtavano con villania selvag­gia. Vicino e dentro alla casa dei genitori di Giuseppe vidi donne della servitù portare acqua, lavare e scopare, arrotolare i letti e porre pareti di traliccio. I fratelli di Giuseppe parlavano e scher­zavano con loro mentre egli era serio e riservato nel contegno. Le stanze, seppur simili nella struttura, erano più spaziose della casa di Anna. 
Giuseppe non godeva troppo la considerazione dei genitori perché era ingenuo e dedito alla preghiera.
Per sottrarsi alle violenze dei fratelli, a dodici anni andò ad abitare presso alcune pie donne nei dintorni di Betlemme, dalla parte opposta del paese, precisamente vicino alla Grotta del Pre­sepio.
Le pie donne erano Essene che vivevano ritirate in spelonche ai piedi del monte sul quale sorgeva Betlemme, coltivavano pic­coli giardini e istruivano i figli degli altri Esseni. 
Vidi Giuseppe che leggeva alcune preghiere da antiche perga­mene e pregava con loro. 
Così egli si conquistava la propria pace e cresceva nello spirito mentre si occupava di semplici lavori di carpenteria lignea. Era al servizio di un vecchio falegname che aveva l’officina proprio in questo luogo, con lui Giuseppe impa­rava il mestiere e parlava di cose sante. 
Il giovane aveva appreso da un precettore, nella casa pater­na, i principi di geometria che gli furono molto utili per il mestiere che aveva intrapreso. 
Vidi il giovane Giuseppe ritirarsi spesso in preghiera in quella stessa grotta che testimonierà più tardi la na­scita del Redentore. 
A diciotto anni, siccome i fratelli malvagi continuavano a per­seguitarlo, con l’aiuto di un conoscente si allontanò per sempre da Betlemme.
Andò a guadagnarsi la vita a Libonah. Lavorò in questo paese alle dipendenze di un altro falegna­me, presso il quale Giuseppe ebbe l’occasione di perfezionarsi in questo mestiere. 
Il maestro abitava in un quartiere poverissimo, in una casu­pola appoggiata ad un vecchio muro che costeggiava uno stretto sentiero infossato nel monte. Mi sembrò che la stradina conducesse ad un castello dirocca­to su un colle. Giuseppe lavorava certi lunghi bastoni che servivano da sostegno ai tralicci. 
La stanza da lui abitata aveva pareti altissime con le finestre poste in alto. Il suo padrone era molto povero e si occupava di rozze co­struzioni, Giuseppe era un lavoratore assennato e tutti gli voleva­no bene. Lo vidi raccogliere le schegge di legno e portar le assi e le travi sulle spalle. 
Alcuni anni dopo, quando passò per questo paese con la Santa Vergine, visitò l’officina in cui aveva lavorato. I fratelli frattanto, dopo una lunga ricerca, lo trovarono e lo sgridarono severamente per il suo modo di vivere tanto misero, allora Giuseppe per tutta risposta abbandonò Libonah per trasfe­rirsi a Thanath, o Taanach, città non molto lontana da Megiddo sulla riva di un piccolo fiume (il Kison).
Questo paese è vicino ad Apheke, terra d’origine di Tommaso l’apostolo. Giuseppe trovò alloggio presso un agiato legnaiolo che produceva buona falegna­meria. In un altro tempo ho veduto che lavorava presso un altro fa­legname di Tiberiade, e che dimorava solo in una casa sulla riva di un fiume. A quel tempo egli aveva trentatre anni. 
La sua famiglia era decaduta, i genitori erano morti da molto tempo e due dei suoi fratelli vivevano ancora a Betlemme, gli al­tri si erano dispersi; la casa paterna era passata in altre mani. 
Giuseppe era un uomo assai pio e pregava con fervore per la venuta del Messia. Mentre pensava di adibire nella sua casa un angolo dedicato alla preghiera, gli apparve un Angelo del Signo­re. Questi lo avverti che, per volere di Dio, come l’altro Giuseppe era divenuto amministratore dei granai dell’Egitto, egli sarebbe divenuto l’amministratore del granaio salvifico dell’umanità.
L’umi­le uomo non lo comprese e continuò fervidamente la sua orazio­ne, allora ebbe dal Cielo il comando concreto di recarsi al tempio per divenire lo sposo della Santa Vergine. Giuseppe ebbe un po’ di timore perché era un uomo molto casto ed evitava ogni relazione col sesso femminile.

Nel giorno di San Bartolomeo, il 24 agosto 1821, la Veggente, tenendo tra le mani le reliquie di San Giuseppe, comunicò le visioni avute di un fratello maggiore del Santo:

Il padre di Bartolomeo di Gessur, dimorò un tempo presso i bagni di Betulia, poi si stabili nei dintorni della città anche per­ché aveva stretto amicizia sincera con Zadok, un fratello maggio­re di San Giuseppe. Egli andò quindi ad abitare nelle vicinanze di Dabbeseth nel­la valle in cui abitava Zadok, uomo assai virtuoso. I due avevano una profonda stima reciproca e rimasero affezionati. il fratello mag­giore di Giuseppe aveva due figli e due figlie che avevano buoni rapporti con la Santa Famiglia. Quando Maria Santissima e Giuseppe cercavano Gesù rimasto nel tempio, vidi che andarono a cer­carlo anche presso i figli di Zadok. Questi giovani rimasero sem­pre amici di Gesù.
(continua)

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