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la vita di Adele

Da Gynepraio @valeria_fiore

Sabato sera ho visto “La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche, film vincitore della Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes. L’educazione sentimentale di una liceale di Lille che, scopertasi omosessuale, vive un’intensa relazione con Emma, artista di alcuni anni più grande. Non mi ero informata su nulla, perché ho passato il pomeriggio a cazzeggiare per non avere pregiudizi; in compenso, mi sono portata dietro la mia unica certezza- quella che non mi abbandona da anni- ovvero di non aver mai capito nulla dell’amore.

Per fortuna, in sala non ero la sola. Anche Adele non sa niente dell’amore. Inizia una relazione con una donna, più grande e smaliziata, diversa per background familiare e aspirazioni. Si abbandona, anche e soprattutto fisicamente, senza risparmiare niente di sé e per sé, nonostante un certo senso di inferiorità culturale. Segue e supporta la sua compagna nel suo percorso professionale, scegliendo una più dimessa carriera di maestra elementare e divenendo l’elemento femminile-materno della coppia. Si sente messa da parte, è anche infedele, ma vuole tornare nello stesso posto, a fianco ad Emma. Vive l’abbandono, segnato da un litigio di grande violenza verbale (l’occasione mi è stata gradita per fare esercizio di empatia lacrimale), in cui non si vergogna di confessare la propria incompiutezza ed il bisogno di essere essere accettata. Esponendosi a un sonoro rifiuto, prestando il fianco ai nontiamopiu e quinoncepostoperte.

litigio

esercizi di empatia lacrimale

Adele non sa niente dell’amore ma lo vive come se non fosse necessario sapere. Come se non si dovesse, all’esordio di una storia, essere guardinghi, proteggersi, preservare le energie per quando le circostanze lo meritino. Adele mangia se ha fame, e Cristo se mangia: le ostriche, gli spaghetti, il kebab, i dolci nascosti sotto il letto. Dice come la pensa, senza temere di sembrare ingenua o ignorante (Perché la chiamano “Accademia di Belle Arti”? Forse esistono anche le “Brutte arti”?). Si spettina di continuo, fuma con voluttà, è sempre pronta a baciare, ridere e far ridere -complice una bocca francesemente e perennemente semiaperta-. Dorme come un ghiro e piange rumorosamente, in pubblico, con il naso che cola. Le piace fare l’amore, tanto, sempre: nell’amplesso il suo corpo si trasfigura e diventa dorato, mentre Emma pare livida e blu.

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differenze cromatiche evidenti

Kechiche ha girato un film di 180 minuti, ma a me sono sembrati molti meno. L’unica cosa che richiama lo scorrere del tempo è la protagonista, che all’inizio della vicenda è al liceo e verso la fine ha 23 o 24 anni. Diventa più alta, più magra, più bella. Le sue fattezze si fanno adulte, le espressioni facciali composte, la camminata flessuosa.

Tutti gli altri, invece, stanno in una dimensione non meglio precisata. Si menziona Internet, la scuola in cui insegna Adele è arredata IKEA. Però ci si chiama al fisso e si lasciano messaggi in segreteria. Emma veste come me al ginnasio. I genitori di Adele cenano sotto una luce al neon che sa di anni ’80. Ad un certo punto parte un pezzodel 2011. Sembra di viaggiare nel tempo, con una valigia piena di problemi. L’amore, appunto.


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