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La vita è una corsa ad ostacoli mobili

Creato il 15 aprile 2012 da Unarosaverde

Ci sono giorni in cui sembra che gli oggetti siano dotati di vita propria e che la loro traiettoria passi esattamente sulla nostra strada, all’altezza delle dita dei piedi – i carrelli della spesa, i piedini dei mobili -, dei femori – gli spigoli delle scrivanie -, della fronte – le maniglie delle porte quando eravamo piccoli.

Apri un armadietto e ti crollano addosso padelle che fino al giorno prima sembravano perfettamente impilate. Chiudi la porta dell’auto e ti intrappoli le dita tra la lamiera. Ti siedi con lo stesso gesto che hai fatto mille volte e la sedia ti sfugge da sotto il sedere. I gradini cambiano altezza e diventano piste di pattinaggio sul ghiaccio perfino in una serata d’estate.

Forse ci sono motivi psicologici dietro giornate così: forse siamo noi che, più distratti del solito, andiamo a cozzare contro angoli e muri, perché siamo immersi in mille pensieri e questo è l’unico modo che la vocina dentro di noi ha per farci fermare un attimo ad ascoltarla. Oppure non c’è nessuna interpretazione: siamo semplicemente sbadati. Capita.

Il mio ultimo grande urto risale a due anni e mezzo fa. Ero in aeroporto, distrutta ma su di giri al rientro da una settimana intensa di lavoro in una delle sedi straniere dell’azienda. Di solito, nei tempi d’attesa, mi siedo e leggo, al sicuro nella mia bolla. Quel giorno invece, come in tutte le settimane di quel periodo, avevo addosso un’irrequietezza che mi faceva continuamente muovere. Mi sono alzata di scatto, continuando a parlare con una collega, e mi sono girata per ripartire verso il bagno, senza aver, inspiegabilmente, intercettato nel campo visivo un enorme pilone. Il mio naso però non l’ha mancato. Non fosse stato per il dolore della botta e i tentativi di fermare quella che rischiava di diventare l’epistassi del secolo, vi garantisco che avrei riso. Mi sarei sganasciata per ore, tanto la scena era stata buffa e ridicola.

Già perché, associato a questo genere di incidenti, c’è sempre, fortissima, una gran comicità della quale non ho mai indagato i motivi: se non penso al dolore fisico dell’urto, la risata arriva, puntuale e irrefrenabile. A freddo però trovo questa reazione poco empatica, fastidiosa e discutibile. Ho sempre evitato di vedere trasmissioni televisive che sublimano l’arte della caduta, della collisione, dalla goffaggine: nell’attimo in cui mi accorgo che sto ridendo, e tanto anche, mi spavento perché mi dimentico, contemporaneamente, quanto male ci si possa fare.

Eppure deve essere una reazione inevitabile, umana, probabilmente, perché anche questa mattina, nella consueta leggiucchiata dei giornali, non ho potuto fare a meno di scoppiare a ridere, immaginandomi  la scena descritta in questo articolo:

…Il bandito, con il volto coperto e in testa un cappellino con la visiera, ha tentato di mettere a segno il colpo con convinzione: ha mirato alla porta in vetro della farmacia, ha preso una lunga rincorsa ma ha sbattuto contro la porta automatica trasparente che non si è aperta…


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