LA VITA OSCENA - di Aldo Nove

Creato il 06 marzo 2013 da Ilibri

Titolo: La vita oscena
Autore: Aldo Nove
Editore: Einaudi
Anno: 2010

A vederlo nell'intervista alla tv con la sua aria serafica e paciosa, mai avrei immaginato che dietro il sipario di quella faccia si nascondessero tragedie ed eventi inenarrabili. Narrati invece ne "La vita oscena".

Di Aldo Nove si conosceva Superwoobinda, Mi chiamo Roberta, e il suo appartenere ai Cannibali Italiani insieme a Brizzi, Ammaniti, Santacroce, Scarpa.

Leggendo "La vita oscena" la domanda che sale spontanea è: ma questo, chi cazz'è?

Il protagonista è un ragazzo rimasto orfano dei  genitori, con dei vuoti nell'anima che prova a coprire con alcool, droghe, tranquillanti e compagnie eterogenee.

"Mio padre morì all'improvviso, di ictus.
Gli sopravvisse mia madre, malata da anni di cancro.
Sarebbe dovuta morire prima lei".

Viene da pensare che questo sventurato si cali nella tomba con i suoi genitori, pur di non rimanere da solo su questa Terra crudele e distratta. Invece?

"Mia madre si chiamava Gianna.
Al suo funerale non ci andai".

Però vive male, tremendamente male, al punto da pensare al suicidio di frequente. A tentarlo addirittura.

"Provai dolore pensando a mia zia che mi avrebbe cucinato da mangiare per nulla, perché io mi sarei ucciso".

A tratti la prosa scivola nella poesia. Righi su righi di frasi senza punteggiatura, come usano i blogger moderni, o i grandi scrittori che mettono su carta un flusso di pensieri sciolti.

In un vuoto esistenziale simile non poteva mancare il sesso: rapporti etero, rapporti omo, orge, perversioni e schifezze di varia natura. E noi che si sta quasi con una mano sulla sua spalla ad accompagnarlo in questa sua discesa all'inferno.

Si avverte continuamente la tristezza e la pena per il protagonista, tra lampi di poesia e pagine di considerazioni emotive condivisibili.

La rinascita arriva.

"Passarono gli anni. Iniziai a lavorare. Lavoravo di giorno e studiavo di notte. Mi laureai. Incominciai a scrivere poesie. E poi romanzi, racconti. Scelsi un nome d'arte. Il mio nome vero era troppo difficile da dire. Ma una storia la dovevo raccontare. Questa.
Quella che avrei dovuto, voluto dimenticare".

Un grande scrittore, di quelli che ti costringono a ripensare ai fatti narrati anche a distanza di tempo, di tanto tempo. Con uno stile unico, suo, soltanto suo. Uno stile plasmato dagli schiaffoni che ha ricevuto su quella faccia tranquilla. Apparentemente.

Un consiglio viene da darglielo, però: perché una sera non ti metti davanti alla televisione con il plaid sulle ginocchia e ti guardi Bonolis mentre ti scoli una lattina di Coca Cola con la cannuccia? Ti viene un rutto liberatorio che non puoi capire.

  

 

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