[Proponiamo una seconda recensione a questo libro di Aldo Nove che sembra non lasciare indifferenti, se vi interessa, qui la prima]
Io, tutto il resto.Parto da una frase perfetta, da una virgola messa vicino all'Io. Aldo Nove sa come far diventare cose le parole, le sue virgole separano materia. Una pausa immensa tra Io e il resto, a voler dire che nell'angoscia c'è Io e poi c'è una distanza silenziosissima e poi c'è tutto il resto. Quando muore un genitore il figlio ha in mano l'universo, il suo senso e la sua insensatezza.
La vita oscena è un romanzo cosmico e autobiografico. La madre del protagonista è malata di un male che non si può pronunciare, il padre muore prima di lei perché non regge il dolore. Aldo Nove è piccolo. Poi il vuoto. Prima della morte dei genitori le incursioni del nulla nella quotidianità delle cose da fare, il vuoto che toglie potere alla distrazione e all'illusione entrano nella storia come note che si ripetono, una musica che ricorre e che è presagio di una catastrofe.
I viaggi si svolgevano in silenzio. Io guardavo fuori il paesaggio e le cose del mondo che mi sembravano stupide. Che stupida quella betoniera, pensavo. Che stupidi quei cavalli, pensavo.Ho visto Aldo Nove alle Invasioni barbariche, intervistato da Daria Bignardi. Indossava un maglione da donna, era emozionato ma saldamente in sé, aveva una luce negli occhi rasserenante e dalla sua bocca usciva una storia che non avevo il coraggio di ascoltare. Occhi azzurri, pacatezza, Daria in tubino nero, commossa, e esplosioni, sesso, cocaina, morte.
Dopo la morte dei genitori il protagonista ha l'universo in mano. Alcool, benzodiazepine, sonno di giorni, la sua casa esplode, una bombola di gas aperta con noncuranza, lui vuole morire, per questo la casa esplode, per questo la noncuranza, ma non muore. In ospedale, ustionato, fa gli oroscopi ai pazienti ricoverati con lui. Toro ascendente scorpione, pianeti, ancora l'universo che compare questa volta in un goffo tentativo di senso. La prima luce di questa storia sta negli oroscopi, la seconda in una bottiglia di un'imitazione da discount della coca-cola portata dalla zia in ospedale.
La lasciò lì sul comodino dell'ospedale, era per me, da bere. Era struggente guardarla. Quella bottiglia mi sembrava simile alla vita dei più, di quelli che non ce la fanno, oh quanti, mi portava alla commozione e piansi. [...]Aveva, quella bottiglia, qualcosa di cristiano, un'imago Christi da poveracci, inconsapevole. Lei aveva fatto la sua ascesi dalla fabbrica ai banconi del discount dove aveva atteso di essere scelta in quanto oggetto di minor valore [...] Era la mia bottiglia sul comodino dell'ospedale.Struggente.
Il romanzo di Aldo Nove è divino. Il sesso ingordo, fatto per riempirsi, per scomparire, per sfinirsi, per rabbia, umori, liquidi, genitali, una serie di questioni organiche diventano un'unica questione divina. Osceno? Così è.
Divino.
Così com'è divino l'elogio alla parola, per niente sacra, piuttosto terrena, ma con una potenza salvifica commovente che Aldo Nove compie in certe pagine del romanzo dove tutto gli scivola in poesia per poi riprendere il filo di una narrazione che cerca, disperata, di significare, che cerca la verità e non il successo. Una tensione di linguaggio sublime, non una caduta, non una frase compiaciuta.
Pare che la critica che si muove allo scrittore sia di aver strumentalizzato la morte dei genitori per cercare consensi e quindi guadagni, o un successo spicciolo, non so. Credo gli si critichi anche di averne parlato in televisione, forse gli si critica anche di aver venduto molte copie e anche di aver scritto un libro commerciale e di averlo promosso con leggerezza così da poter attirare anche i lettori non laureati. Insomma l'invidia si muove quando c'è una buona occasione.
Ma questo è un libro che commuove e Aldo Nove uno scrittore.
Le storie vengono da un luogo lontano dove siamo già stati. Forse non noi. Forse non esattamente noi. Raccontano di prove.