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Fra i tanti aspetti di Levi scrittore, c’è questo, insiste Ginzburg: “La ricostruzione di Auschwitz come una gigantesca esperienza biologica e sociale”. In qualità di chimico, qui delle pulsioni, estraendone“ciò che può esserci di più rigoroso come campo di sperimentazione per determinare ciò che c’è d’innato e ciò che c’è di acquisto nel comportamento dell’uomo confrontato alla lotta per la vita”. Laboratorio di sperimentazione“rigoroso” forse no, ma non c’è bisogno di essere pilateschi: è vero che Levi era ed è restato un ricercatore, ma sulla vita nel lager da testimone del fatto, dopo esserne stato vittima. Tutto questo non è senza importanza per lo storico, non dovrebbe. L’intervista è tutta da scoprire – è ben un inedito. È appesantita dagli interventi dei curatori, gli storici Bravo e Cereja, che intervistarono Levi nell’ambito di una ricerca sulla memoria della deportazione, condotta in Piemonte a partire dal 1982. Ma Levi, benché pressato, se non contestato, non si sottrae. Nella ricerca,“oltre 10 mila cartelle raccolte”, confluiranno 220 testimonianze, che danno una realtà composita del fenomeno: “Una metà”, dice Cereja (lo storico nel frattempo è deceduto), erano “prigionieri politici, poi ci sono molti militari, sbandati, rastrellati anche”, per rastrellati intendendosi sopratutto operai al lavoro obbligatorio. “Zona grigia” è un concetto di Primo Levi. Qui anticipato, verrà trattato ne “I sommersi e i salvati”, quindi nel 1986, un anno prima del suicidio. “La zona grigia” è il seconda capitolo del saggio, Riferito ai prigionieri collaboratori: “La classe ibrida dei prigionieri-funzionari costituisce l’ossatura del Lager, e insieme il lineamento più inquietante”. Con un potere “sostanzialmente illimitato” sulle vite degli altri prigionieri. Non una nozione vaga di passività, rassegnazione, disimpegno, quale la zona grigia è passata frequentemente a denotare, ma un fatto preciso, di mors tua vita mea. E riguarda tutti gli internati, compresi gli ebrei, Kapò o Sonderkommando, e i comunisti delle furerie e le infermerie. Il saggio di Anna Bravo che chiude la pubblicazione ne dà le coordinate. Basta ricordare che, come la precedente “banalità del male”, la “zona grigia” ebbe un’accoglienza largamente ostile, perché dirompente: rompeva le certezze rituali, di qua il bene di là il male. Anche nell’Olocausto. “Questo è un argomento veramente ustionate”, ripete: “Io rimango atterrito davanti a questa faccenda”. L’“Intervista”, due ore e mezza di conversazione, si chiude con la testimonianza più originale, anche per la storiografia, e meno rilevata: la “selezione” a opera talvolta degli stessi internati, in questo caso i “politici”, del partito Comunista: “E quindi credo che dovesse essere pure ammesso questo fatto, che potesse essere condannato a morte uno qualunque per salvare uno di loro. Non mi sembra più… non mi sembra una cosa così… così mostruosa”. Per trenta e più anni, però, sì, gli è sembrata mostruosa, si arguisce dal tono di rassegnazione. E anche questa resipiscenza morale, questo adattamento: uno come Primo Levi non poteva che vergognarsene. Il suicidio, a differenza delle sentenze, si può solo rispettare e non commentare. Ma Primo Levi non mancava di ragioni – a partire dal rifiuto che gli fu a lungo opposto di “Se questo è un uomo”, un capolavoro. Era del resto il non-eroe: non politico, non tragico, non storico, non filosofo. Un sopravvissuto. Un uomo pratico, e uno scrittore. Rileggendo la trascrizione a distanza di trent’anni, è il tono che insistente colpisce, specie di fronte alla semplicità, aggressiva, degli storici che lo intervistano. È onesto. Anna Bravo-FedericoCereja (a cura di), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, pp. 93 € 10di Giuseppe Leuzzi. È uscita infine anche in Italia due anni fa, nel mentre che se ne preparava l’edizione in francese, l’“Intervista” che il 27 gennaio 1983 Primo Levi aveva avuto con Anna Bravo e Federico Cereja, due storici. Quattro anni prima della decisione di farla finta. Il titolo francese,“La zona grigia”, sembra anche più pertinente. Il testo Einaudi l’edizione francese fa precedere ad una prefazione di Carlo Ginzburg, “Calvino, Levi e la zona grigia”, in cui lo storico riprende “Un dialogo”, il suo libro di colloqui con Vittorio Foa dieci anni fa, della “zona grigia” che non è un giudizio, né un fatto etico, ma una categoria analitica, descrittiva, una rilevazione.
Primo Levi, La zone grise, Payot, pp. 160 € 16
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