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Laboratorio di Narrativa: Annamaria Eleonora Lorusso

Creato il 28 gennaio 2013 da Patrizia Poli @tartina

Ci colpisce per il contenuto “L’inevitabile” di Annamaria Eleonora Lorusso. L’inevitabile è il terremoto, la cosa alla quale non ti puoi opporre, ma dalla quale puoi imparare, la cosa che passerà nella sostanza dei fatti ma resterà nella memoria traumatizzata e nell’insegnamento da trarne. L’inevitabile (ma lo era poi davvero?) arriva e travolge, è transitorio, dice l’autrice. Alla fine, si riesce ad affrontare e superare. Ciò che segna la vita, ciò che lascia cicatrici incancellabili, è quello di fronte a cui l’inevitabile ci pone: la fragilità umana, la caducità delle cose. Ma c’è anche la forza dei ricordi, la possibilità di ricostruirsi “dentro” una casa che mai nessun terremoto potrà abbattere.

Breve e intenso omaggio a una città sconvolta, offesa dalla natura stessa e dall’insensibilità degli uomini; un ricordo struggente di emozioni che segnano in modo indelebile. È come se, insieme alle tegole, ai muri crollati, si sgretolassero tutte le sicurezze, come se lo “scrigno protetto, patrimonio di sorrisi, baci, carezze…” fosse stato “scardinato, oltraggiato, colpito”. Qualcosa si rompe dentro la protagonista, come tutto si è rotto al di fuori. È terribile la sensazione di non essere più padroni della propria casa – la casa antica, avita, dove sono custoditi ricordi, radici e “le carezze dell’infanzia”  -  violentata e squarciata dal sisma, la doppia ferita di vederla di nuovo violata da mani estranee seppur soccorritrici.

Un racconto che ci riporta immagini non dimenticate, dolore condiviso, rabbia e senso d’impotenza ma, pur nello struggimento delle memorie, è una narrazione delicata, fatta con  una sorta di pudore,  uno smarrimento tutto interiore, più confessato che urlato.

Buona la scrittura, con solo qualche lieve sbavatura, felici le scelte linguistiche che riescono a trasmettere con immediatezza la suggestione delle emozioni. Da rilevare un eccesso di puntini di sospensione, tuttavia giustificabili dalla pausa nel divenire provocata dal cataclisma, che interrompe il fluire del quotidiano, lacera lo spazio tempo, catapulta nel non essere, non vivere, spezza il respiro, lo trasforma in singhiozzi.

Patrizia Poli e Ida Verrei

… Aprile 2009. L’Inevitabile

- ”Buongiorno, qui è la Protezione Civile, domattina alle 9 verranno i nostri Tecnici per l’accertamento dei danni che ha subito “Protezione Civile. Accertamento dei danni. Aspettava quella telefonata, ma il fiato le mancò lo stesso. - “Guardi, io non risiedo a l’Aquila, devo organizzarmi col lavoro, mi occorre un preavviso minimo, sia gentile, possiamo fare per dopodomani? – Sperava di aver reagito con lucidità e presenza di spirito, ma dubitava di esserci riuscita… Sentendosi parlare avvertì l’incertezza nella sua voce, e si chiese che effetto aveva avuto sul suo interlocutore al telefono. “Senta, lei comprende che c’è un elenco da rispettare, sono momenti difficili… va bene, domani organizzerò un altro giro, ma si faccia trovare dopodomani.” Dopodomani. Chiamò subito il suo Tecnico di fiducia, aveva bisogno di lui, ancora una volta, e sperava che sarebbe riuscito a liberarsi vista la gravità della situazione… Agiva velocemente e d’istinto quando era sotto pressione, lo scotto lo pagava dopo, a cose fatte. Detto fatto, lui fu sintetico e risolutivo, come sempre, e del resto lei lo sapeva, poteva contare su di lui… Dava sempre il meglio di sé nelle emergenze, virtù rarissima, di questi tempi. Notte insonne. Partenza. Non ricordava nulla del viaggio, la sua mente era sospesa, tramortita dalle immagini viste in TV, una per tutte, la casa dello studente dove aveva pranzato e cenato nei suoi anni aquilani, in sottofondo le voci dei suoi parenti al telefono, l’unico pezzo di famiglia rimastole, stavano bene, sì, ma erano tutti senza casa… E casa sua, la casa degli avi che aveva voluto proteggere e salvare dal degrado, lottando insieme a sua madre prima, e da sola poi, impegnandosi con restauri faticosi che avevano divorato i suoi risparmi… Ma ne era valsa la pena. Oddio, ora non era più tanto sicura. Nemmeno tre mesi prima aveva finalmente rifatto l’impianto di riscaldamento, con i tubi di rame a vista e i termosifoni nuovi - così te riscalli bene bene – le aveva detto sorridendo l’idraulico più richiesto del paese, al termine degli ultimi lavori… Cominciarono ad apparire i primi caseggiati lesionati. Crepe qua è là, macerie scomposte, polvere. Il paese era presidiato. Per entrare nel borgo dovettero mostrare i loro documenti e spiegare, dettagliatamente, il motivo della loro visita. Due militari li accompagnarono. Risentiva ora, a distanza di tempo, i loro passi risuonare sull’acciottolato ingombro di mattoni, in un silenzio teso e doloroso. Attraversare il vicolo fu una via crucis – guarda, quella è la casa di zia Mara – proruppe lei - quella non è più una casa - le ripose lui, guardando con occhio esperto i segni a zig zag delle lesioni sulla facciata di mattoni a vista, e poi si offrirono alla loro vista i crolli, gravi, vistosi, con le tegole precipitate sul selciato. I Tecnici li stavano aspettando. Di nuovo, documenti, spiegazioni, formalità. Ecco la casa. Eccola. – Signora, mi dia le chiavi, per favore. – le chiavi? Ora le apro la porta – era più forte di lei… era casa sua quella, era lei che apriva il cancello per fare entrare gli ospiti… - Signora lo vede che il cancello è mezzo aperto? Sa cosa vuol dire? C’è un danno serio, lei non può nemmeno avvicinarsi, mi dia le chiavi, lasci fare a noi. - Il suo Tecnico le rivolse un’occhiataccia, lei ingoiò a vuoto, porse le lunghe, antiche chiavi che aprivano il lucchetto del cancello e il chiavistello dell’antico portone e attese. – Signora, mi può descrivere cosa c’è all’ingresso? – Ci sono le chiavi delle camere al primo piano, un portachiavi arancione… C’è la macchina da cucire di nonna, la singer in ferro battuto – e intanto pensava che stavano dubitando di lei… È casa mia questa!!! Avrebbe voluto gridare, è casa mia, come potete solo pensare che non sia mia!!! Ingoiò l’urlo che le strozzò lo stomaco e attese. Entrarono. Il cortile era pieno di tegole. L’architrave era spezzato al centro. La fermarono, sì perché si era lanciata dietro i militari e i tecnici per entrare. Riuscì a vedere una grossa lesione sulla parete del soggiorno, le fotografie a terra, il divano pieno di polvere, poi più nulla, le avevano impedito di entrare. Dovevano essere abituati a comportamenti irrazionali e istintivi perché non fecero commenti, anzi decisero come procedere per verificare i danni ai piani superiori. Era il giorno del verdetto, quello, e lei lo sapeva. Dal sopralluogo avrebbero deciso se la casa era agibile o meno. Il suo Tecnico, avvezzo alle impalcature dei cantieri, si diresse deciso verso le scale che portavano al primo piano, seguito dagli altri tecnici. Per un lungo momento nessuno parlò. Lei aveva il fiato trattenuto, aveva quasi paura di respirare a fondo, l’irrazionale paura che anche un respiro di troppo avrebbe dato fastidio. Il suo Tecnico si affacciò in cortile, la guardò e scosse la testa. Scosse la testa. Di nuovo, perché gli sembrò che lei non avesse capito. No? Disse lei a voce alta – No, confermarono gli altri, Inagibile. È inagibile. Qualcosa le si ruppe dentro. Si appoggio con le mani e la fronte ad uno dei muri del cancello. Cercava le carezze della sua infanzia, e voleva restituire calore e carezze alla casa dove era stata felice, come per risarcirla del danno subito, della ferita mortale da cui non aveva potuto proteggerla, questa volta. E accadde. Un lungo, profondo singhiozzo la scosse. Non riuscì a trattenersi. Pianse. Rumorosamente, senza ritegno, senza speranza. L’inevitabile era riapparso nella sua vita, ancora una volta.

– Cosa c’è di transitorio, chiese – l’inevitabile, gli fu risposto. – E cosa c’è di definitivo? – la lezione dell’inevitabile -  era un dialogo tratto dal libro Monte Cinque di Paulo Coehlo, le si era scolpito nella memoria come una lapide.

L’inevitabile aveva colpito, ancora, col risultato di amplificare e inglobare, in quella casa inagibile, tutto il dolore, definitivo, senza ritorno, per la perdita della sua famiglia. Come se la casa potesse racchiudere in sé, in uno scrigno protetto, il patrimonio di sorrisi, baci, carezze, risate, discussioni, pranzi, cene, festività che scandiscono la vita di chi vi abita… Quello scrigno era stato scardinato, oltraggiato, colpito, e con esso i ricordi più cari, per lei, poi, irriproducibili, insostituibili. Lui non intervenne. Non la vide, ma la sentì. Era spiazzato di fronte a quello sfogo, e stava reagendo con efficienza e prontezza ad una situazione anche per lui dolorosa, da stravaso emotivo. Era stato felice, in quella casa, con lei e la sua famiglia. Ricordava i momenti di serenità vissuti là, nel rifugio di lei, con l’accoglienza sorridente di sua madre, la convivialità informale e calda che avevano condiviso, l’allegra spontaneità delle serate tra amici… Uno dei militari le si avvicinò, le chiese se poteva fare qualcosa. In quel momento lui le andò vicino - Sei viva – le disse – sei viva. Sai stata protetta, ancora una volta – Era vero. Per un giorno soltanto non si era trovata là, quella notte. E, a giudicare dal crollo, non ne sarebbe uscita con le sue gambe. Era stata protetta, ancora. Smise di singhiozzare. Lunghi mesi di snervante attesa l’attendevano. Le pratiche burocratiche, le speranza deluse di una pronta ricostruzione, le polemiche sui vivi e sui morti… Le risate oscene di chi contava i soldi, la lacrime senza numero di chi aveva perso i figli. La sua casa era là, con il ricordo delle mattine tranquille d’estate al lago, trascorse a prendere il sole nella conca verde del lago dove si riflettevano i lunghi tralci dei salici piangenti, il profilo dei monti sullo sfondo come un gigante buono che vegliava sulla città, il torrone nurzia, tenero al cioccolato - recitava l’iscrizione della bellissima confezione in stile liberty - …. Le grigliate all’aperto, gli occhi contenti dei suoi parenti, il cocomero freddo e saporito, l’orto rigoglioso e i terreni che un giorno, forse, chissà… La stavano aspettando, come si aspetta il ritorno di una persona cara, inghiottita dal tempo e dalla distanza, imprigionata da un incantesimo cattivo… Come aspettavano e pregavano per un KG di firme che avrebbero significato il permesso di rientrare a casa, di riparare la casa, di rivivere la casa. Aspettavano il permesso di ricostruire. Sarebbe andata in ginocchio ad implorare quel chilo di firme sugli atti, come si implorava la grazia per un condannato, La prego, Signor Ministro, Signore dei vivi e dei terremotati… Fammi ricostruire casa mia.

L’inevitabile era accaduto. Sapeva che i suoi effetti erano transitori. Quello che non sarebbe stato transitorio, ma definitivo, era la lezione dell’inevitabile.

Annamaria Eleonora Lorusso

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