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Laboratorio di Narrativa: Giovanni Parigi

Creato il 04 marzo 2012 da Patrizia Poli @tartina

 

Un personaggio dimenticato, particolare - che sembra uscito da Mary Poppins ma si risolve poi in gesto amaro - è il protagonista di “Uno strano alfabeto” di Giovanni Parigi. Breve, questo racconto, ma denso di simbolismi: lo stesso piccolo protagonista della storia, tratto dall’immaginario fiabesco romantico-popolare, che nell’opera di Britten è metafora della rivolta morale contro ogni forma di sfruttamento infantile, qui diviene simbolo di una condizione umana più generale. Il giovane spazzacamino ci proietta in un tempo passato, ma rappresenta la perenne voglia di riscatto, la ribellione e l’energia vitale, che non è sopravvivenza ma bisogno di esserci, di lasciare un segno.

La donna spinge le sue figlie confetto, le sue figlie bambole, le sue figlie di zucchero filato, a compiere un gesto che sembra carità ed è, invece, affronto, lesa dignità. La moneta messa in bocca allo spazzacamino è come “dar da mangiare al canarino”. Il ragazzo, però, reagisce, si riappropria del valore di un lavoro libero e consapevole, seppur umile. Lo spazzacamino Alfredo è come i cavalli che, “attaccati al carro della vita”, la “mordono”. Allo stesso modo, egli morde la mano che lo beffa e, insieme, in uno scatto di orgoglio, morde poi “l’occasione”, il lavoro onesto, dignitoso, pulito nonostante la fuliggine. “Azzannare, addentare”, è  desiderio di affermarsi, di “mordere la vita”, è aspirazione alla conquista della propria dignità; è rifiuto dell’idea stessa di sopraffazione.

 

Patrizia Poli e Ida Verrei

Il lungo viale era tormentato da un vento freddo che spirava da nord, ma nonostante ciò brulicava di persone e cavalli, che con il loro nitrito scaldavano il cuore di un giovanissimo spazzacamino. Infatti, attaccati com’era lui al carro della vita, li considerava da sempre suoi compagni di lavoro. Spesso, allungando il tragitto che lo avrebbe riportato a casa, faceva brevi zig zag per toccarne la criniera o il muso, non mancando mai di pronunciare qualche parola, al suono della quale gli animali sbuffavano muovendo la testa insù e ingiù come a dire: ” Sì, sì hai ragione”.

Di tanto in tanto lo spazzacamino alzava gli occhi ai comignoli fumiganti, capendo al volo se avessero o no bisogno di manutenzione, e nel caso ne avessero bisogno, bussava alle pesanti porte d’ingresso proponendo al proprietario dell’edificio i suoi servizi. Quel giorno, purtroppo, nonostante i suoi sforzi, non aveva ricevuto commesse e questo influiva negativamente sul suo umore solitamente allegro.

Il viale che stava percorrendo terminava in un’ampia e bella piazza, dove si era radunata una piccola folla vociante. Il suo sguardo cadde sul carretto che vendeva zucchero filato di vari colori. Ne avrebbe mangiato volentieri uno, ma dopo un rapido calcolo si rese conto che non se lo poteva permettere e ciò lo rese ancora più triste e nervoso.

“Mammina, mammina perché quel bambino è nero?” sentì squittire il giovane spazzacamino facendosi piccolo, piccolo capendo che si parlava di lui. La domanda era stata rivolta a una ricca signora, elegantemente vestita, da una bambina a pochi passi da lui. Lei, come la sua sorellina, era tutta vestita di bianco;  entrambe avevano un fiocco rosso che stringeva  le loro bellissime trecce, mentre un gigantesca palla di zucchero filato nascondeva a tratti il loro volto.

“Ma cara, quel bambino è così nero perché fa lo spazzacamino. Non vedi che porta sulla spalla la corda e il fascio di pungitopo?  Ha la faccia nera nera perché è tutto sporco di fuliggine” spiegò la mamma.

“Ossignore, e cosa dirà la sua mammina vedendolo così sporco?” disse la più piccola con serietà.

“Sciocchina, quello è il suo lavoro e la sua mammina sarà contenta quando vedrà tanti bei soldini guadagnati. Sapete cosa facciamo adesso?” chiese la mamma alle due sorelline.

“No, non lo sappiamo, diccelo per favore!” risposero in coro.

“Facciamo una bella sorpresina al povero spazzacamino e alla sua mamma” disse la madre.

“Sì, sì facciamogli una sorpresa, che bello!” gridarono entusiaste le figlie.

“Tenete un soldino e dateglielo per mangiare” disse la ricca signora aprendo un bellissimo portamonete di seta.

Alla vista della moneta le bambine allungarono entrambe le mani per afferrarla e non farsi sfuggire il lembo di quello che ai loro occhi era il più bel gioco della giornata. Fu inevitabile che in un primo momento litigassero, ma tutto si risolse quando la mamma ricordò alla più piccolina che il giorno prima aveva dato lei da mangiare al canarino, per cui doveva lasciare il passo alla sorellina, cosa che con un po’ di broncio fece.

Con la monetina in mano e saltellando si diressero verso lo spazzacamino che aveva sin dall’inizio capito e sentito tutto. Quando si trovò di fronte quei due angeli vestiti di bianco ebbe la sensazione di essere appena uscito dall’inferno, tanto i suoi laceri e neri stracci risaltavano.

“Ciao povero spazzacamino, io sono A.” disse la maggiore

“E io sono B. “ e in coro ” la nostra mamma è lì” dissero ridendo sonoramente alzando gli occhi al cielo e con le manine giunte dietro la schiena. Riabbassando gli occhi lo guardarono bene in faccia sorridendo, mentre si mordevano  il labbro inferiore gongolandosi e fissando il volto nero del bambino nella speranza che il sole del suo sorriso vincesse la caligine della sua pelle grazie a quella battuta.

“Io… io invece sono  Al…Al..Alfreddo anche se lavoro dentro le cappe dei camini” rispose con una battuta il bambino sorridendo timidamente. Le bambine colsero al volo quel gioco di parole e risero di gusto di quel nuovo amico, anche lui dalla battuta facile.

“Sai Alfreddo, dobbiamo darti una cosina” disse la maggiore.

“Cosa ?” chiese Alfredo.

“Apri la bocca che ti dobbiamo dare un soldino da mangiare” disse colei che stringeva la moneta, allungando la manina fino a sfiorare la bocca dello spazzacamino che, dopo un istante d’indecisione,   nell’attimo stesso in cui si aggiustò il cappellaccio sulla nuca, cambiò repentinamente l’espressione della sua faccia, senza che le due sorelline se ne accorgessero, perché tutte prese da quello che consideravano solo un  bellissimo gioco. Fu un attimo. Nessun occhio umano sarebbe stato capace di cogliere l’istante in cui Alfredo si avventò sulla manina tesa mordendola, sfoderando così una meravigliosa e sana dentatura cangiante, messa in risalto dalla nera fuliggine che ne copriva il volto.

“Ahi, ahi! Cattivo, cattivo spazzacamino!” urlò la vittima.

“Spazzacamino cattivo, cattivo!” si unì gridando  la sorella.

Alfredo, nonostante le grida, non aveva la benché minima voglia di lasciare la presa, ben deciso a quell’istintivo contrappasso che puniva, con una presa degna di un cane da combattimento, quella che, seppur fraintendendo , era stata ai suoi occhi una grave presa in giro.

“Che cosa le stai facendo piccolo delinquente! Lascia subito la presa cagnolino rabbioso” urlò la mamma precipitandosi in difesa delle figlie agitando minacciosa l’ombrello. A quella vista e vedendosi in netta inferiorità, Alfredo dette un’ultima furiosa stretta alla manina e fuggì via dileguandosi senza lasciar traccia, come una voluta di fumo.

Giunse correndo in una via deserta, dove  la solitudine lo fece riflettere sull’accaduto.

“Passi per miei stracci. Passi per la fame. Passi ancora per lo zucchero filato, ma la presa in giro no, proprio no!” disse tra sé arrabbiato “Ne va del mio onore!” aggiunse guardando il cielo e sospirando.

“Ehi tu, spazzacamino” si sentì a un tratto chiamare da una finestra al secondo piano di una delle tante case  in fila che formavano il viale.

“Dice a me, signore?” chiese Alfredo timoroso per quanto accaduto.

“Certo a chi altri, quanti spazzacamini vedi?” replicò l’uomo sorridendo.

“Ascolta, ho due canne fumarie da ripulire, ma ormai è tardi. Possiamo fissare per domani?”

“Certo signore, basta solo che mi dica l’ora” disse Alfredo entusiasta.

“Facciamo per domani alle sette giovanotto. Mi raccomando sia puntuale e le darò una bella mancia”

“Non ne dubiti signore, alla sei e trenta sarò alla sua porta” rispose meravigliato di aver quel giorno capito che qualunque sia la mano che la fortuna, o la sfortuna, ti offre deve essere azzannata, pardon, afferrata al volo.

 

Giovanni Parigi


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