Marika Cassimatis costruisce “Acqua” attorno ad un’immagine, un’idea, un’atmosfera. Qui ci affacciamo dove le grandi maree oceaniche lasciano sulla spiaggia alghe e conchiglie giganti, dove i gabbiani sporcano di guano la rena umida. Una serena atmosfera autunnale, il mare, la risacca, un paesaggio sfumato e il tranquillo, lento, procedere con l’acqua che accarezza la pelle, verso un momento di dissolvenza, di abbandono a sensazioni epidermiche, ma anche a pensieri che vagano lievi. I ricordi del giorno appaiono lontani, quasi inafferrabili.
Ma l’aria dolce del pomeriggio di sogno sembra improvvisamente mutare: il tepore dell’acqua diviene gelo pungente, la brezza, vento impetuoso e la vita pare sfuggire, portando con sé rimpianti e ricordi. È il terrore della fine, ma quando la disperazione porta alla resa, inaspettata arriva la salvezza. Metafora della vita: quando sembra non esserci più via d’uscita, quando “l’acqua continua a salire…” la marea infine si ritira, e, scivolando dallo scoglio, ci si ritrova ancora “sulla sabbia bagnata”.
Nell’imminenza della morte, Vittoria ripensa e ridimensiona il suo passato recente, la lite avuta con Alessandro. La schiuma con cui lui l’ha schizzata, il mattino, diventa ora la schiuma delle onde che la travolgono, in un cerchio che si chiude, per poi riaprirsi alla speranza, a una seconda possibilità.
Patrizia Poli e Ida Verrei
ACQUA
Aveva parcheggiato sulla litoranea, appena fuori dall’abitato. Si era appoggiata alla balaustra che delimitava la massicciata della strada e guardava il volo dei gabbiani a pelo sull’acqua.
Alla sua sinistra si apriva un varco sbarrato da alcune assi di legno corrose dalla salsedine. Le spostò senza sforzo e si lasciò cadere sulla sabbia bianca. Sfilò le scarpe e le calze e sentì la sabbia fredda, molle sotto i piedi.
Il sole era già basso all’orizzonte, la strisca di sabbia si allungava verso ovest e si interrompeva in un gruppo di scogli. Si incamminò in quella direzione fermandosi ogni tanto a raccogliere le vongole che contenevano il mollusco ancora palpitante. Le afferrava e poi con slancio le lanciava verso il largo perché tornassero alla vita. Era in competizione con una coppia di gabbiani che divoravano il contenuto delle valve.
Non c’era anima viva e Vittoria si stava godendo quell’atmosfera autunnale quasi dimenticando la lite che aveva avuto con Alessandro, le parole crude che erano state urlate, il tonfo della porta sbattuta quando era uscita di casa.
Si fermò davanti al gruppo di rocce affilate dal vento e dalla risacca, decise di aggirarle per continuare a camminare sulla sabbia che vedeva proseguire.
Alzò l’orlo dei jeans ed entrò in acqua. Era calda e piacevole ed iniziò a camminare, il mare le lambiva le caviglie. Le rocce seguivano un percorso diverso da quello che aveva immaginato, non si ammonticchiavano parallele alla costa, ma avanzavano verso il mare fino ad uno sperone affilato come la prua di una nave.
Vittoria tirò più su la stoffa dei pantaloni lasciando scoperta la pelle dei polpacci, bianchi e lisci. Superato quel pennello roccioso la linea di costa rientrava nuovamente per poi allungarsi ancora verso il largo con alcune lastre si arenaria. Quando si trovò a superare il secondo sperone il vento di mare inizio a soffiare lento, come un respiro profondo. Il bordo dei pantaloni si stava bagnando, Vittoria provò a tirare ancora più su la stoffa ma i pantaloni aderivano alle gambe e non riusciva a liberare le ginocchia. Improvvisamente sentì prorompere con forza la corrente che spingeva verso riva e l’acqua risalì rapidamente oltre le ginocchia.
Sentì freddo, la stoffa bagnata le grattava la pelle aumentando la sensazione di disagio. Si voltò e ritornò sui suoi passi ma il disegno della costa era cambiato.
Le rocce più basse erano quasi completamente sommerse dal mare e l’acqua continuava a salire. La luce obliqua del sole macchiava il paesaggio di ombre e Vittoria non riusciva più a distinguere la strada dove aveva lasciato l’auto. L’acqua saliva lenta e tenace, ora le arrivava alle cosce e Vittoria fu presa dal panico. Provò ad arrampicarsi sulla roccia aspra e tagliente ma non riusciva a trovare un appiglio, la pelle delle mani si lacerava e l’acqua saliva, saliva.
La corrente acquistava maggiore forza e Vittoria faticava a mantenere l’equilibrio. L’acqua le era arrivata alla vita, con la forza della disperazione puntò allora i piedi su una sporgenza affilata, riuscì a darsi una spinta e montare lo scoglio. Si ritrovò a pochi centimetri dall’acqua schiumosa che correva impetuosa verso la battigia.
In autunno il sole scendeva rapido all’orizzonte ed in pochi minuti si trovò immersa nelle tenebre, con i piedi e le mani sanguinanti e tutt’intorno scure acque minacciose.
La brezza di mare era diventata un vento teso ed il suo corpo era scosso dai brividi.
In lontananza vedeva alcune automobili sfrecciare con i fari accesi, provò ad agitare le braccia e a gridare ma era troppo lontana.
La voce veniva dispersa dal vento.
Con le dita sfiorò la superficie del mare, l’acqua stava ancora salendo. Non c’era una via d’uscita, non sapeva nuotare e il pensiero della morte le entrò dentro.
Non sono ancora pronta, urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Nella sua mente si rincorrevano immagini, suoni, odori. Il profumo del latte caldo che aveva bevuto la mattina, il suo viso riflesso nello specchio, le labbra aperte in una risata perché Alessandro l’aveva schizzata con la schiuma. Era scappata via, perché, perché…
L’oscurità che la circondava le faceva paura, lo sciabordio del mare, il vento che le sferzava il viso. Tremava come una foglia e continuava a ripetere con voce strozzata, non sono ancora pronta, non sono ancora pronta.
Stremata, si accovacciò stringendo le gambe al petto e posò la testa sulle ginocchia. Era la resa. Passarono i minuti e forse le ore e il vento improvvisamente si calmò.
Alzò la testa e tutt’intorno c’era silenzio, abbassò il braccio e la sua mano non toccava più l’acqua, la marea si stava ritirando. Provò ad alzarsi e le gambe intorpidite non la ressero, scivolò dallo scoglio.
Si ritrovò sulla sabbia bagnata.
Marika Cassimatis