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Lamento sopra il finestrino di una jaguar

Creato il 16 ottobre 2011 da Albertocapece

Lamento sopra il finestrino di una jaguarHo il cuore addolorato. Quel finestrino di una jaguar infranto, le vetrine in frantumi di una banca, le auto bruciate, le povere assicurazioni costrette a pagare togliendosi il pane di bocca, mi mettono una pena che non vi dico.

Quasi quasi mi domando: Ma dove siamo arrivati? Partecipo alla drammatizzazione di massa e al successivo banchetto offerto da Ovvio e Banale alla cittadinanza tutta per la doverosa catarsi che l’establishment esige. E cosa importa poi se i violenti erano 200, magari pure ben conosciuti, ma lasciati liberi di agire? Fa comodo a tutti, salvo che a un minimo di dignità intellettuale: agli imbecilli di regime, tra  cui ton ton Alfano, l’incapace di Alemanno e il furbetto da balera, Maroni che dicono ecco vedete chi sono gli indignati? Ai succedanei di Berlusconi che dicono, ecco vedete cosa succede senza la nostra presenza? Persino all’opposizione che dice ecco vedete cosa succede quando scende in campo il movimentismo?

Tutti e felici e contenti a rivoltarsi nella loro mediocrità, dentro quella polvere di impalpabilità politica e cognitiva che si è trasformata facilmente in fango.

E’ pressoché impossibile sottrarsi al reading a reti e giornali unificati. E le risposte sono poche, timide, quasi umiliate, oppure – che è in un certo senso la stessa cosa – in libera uscita sul complottismo: i black bloc erano poliziotti e via andare.

E’ inutile, meglio ipocrita  dire che la violenza ha “rovinato” la manifestazione e la causa degli indignati che peraltro ha caratteri mondiali, anche se in Italia ci sono molti motivi aggiuntivi per incazzarsi: la violenza ha semplicemente poco a che fare con le ragioni della manifestazione. E’  e rimane un fatto marginale, previsto, magari pure favorito che oggi tiene banco, gonfiato appositamente dalla cattiva incoscienza di regime, ma anche dall’apparente buona coscienza del bon ton giornalistico e politico.  Perché alla fine ciò che è successo a Roma è ciò che è successo a Parigi per un mese di seguito.

Certo è assai più semplice e meno compromettente occuparsi della macchina bruciata, della polizia “sorpresa”, dei cattivi contestatori di un regime di zombies, piuttosto della violenza esercitata sulla democrazia e sulla vita di milioni di persone dalle impersonali, lievi mazze della finanza, dalle macellerie sociali, dal Parlamento di comprati.  Quello si, che è difficile e imbarazzante  perché si vanno a toccare i fili che collegano al potere.

Così, certo parliamo del finestrino rotto della jaguar, della vetrina della banca sfondata, della bomba carta, interroghiamoci su questo, non viviamo forse nella civiltà del despistaggio? Tutti insieme appassionatamente per assolvere, condannare, nicchiare sul nulla. Diciamo le solite cose come venti o trent’anni fa, facciamo finta che il mondo non sia cambiato e che queste cose non indichino una cesura, la discontinuità con la politica dell’autarca, ma anche con l’inesistente politica italiana.

Sì, io odio la violenza, soprattutto quella “debole” e assurda che serve solo a nascondere la violenza vera. Quella che uccide senza scandalizzare. L’atroce violenza perbene. Ma davvero in un Paese senza governo e senza opposizione possiamo aspettarci per sempre  la fiera parrocchiale, i palloncini e la cauta espressione di disagio che tanto poi facciamo noi? Forse chi ci crede è il proprietario e solo di quella jaguar.


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