Lapidazione semantica

Creato il 08 ottobre 2010 da Ilgrandemarziano
In base ai risultati di un recente sondaggio, agli esseri umani le cose che piacciono di più sono: il calcio, la cioccolata, le spiagge esotiche, le auto di lusso, le patate fritte e, naturalmente, linciare la gente. Una volta lo si faceva all'aperto. Ci si armava di forconi, bastoni, rastrelli e qualche fiaccola, si prendeva senza troppi complimenti la persona in questione, la si legava, la si trascinava alle porte della città, vicino a un albero abbastanza alto. Poi una corda lanciata intorno a un ramo nodoso come uno scheletro, un cappio, un nodo scorsoio e quando lo sgabello si ribalta o il cavallo prende a galoppare, giustizia è fatta. Una bella giustizia: efficace, rapida, con certezza della pena.
In queste ore dalle vostre parti si sta consumando qualcosa di simile, ancorché con mezzi diversi, ma forse soltanto più moderni. Media, blog, forum, TV, Facebook si scagliano contro quest'uomo che ha compiuto un'azione efferata e spaventosa, agghiacciante e vomitevole. E gli appellativi vengono lanciati come pietre aguzze: bastardo, orco, mostro, bestia. Quando va bene, pazzo. Come un sasso un po' più arrotondato. Eppure questa che parla è tutta gente che non c'entra alcunché con la faccenda. Non mi riferisco dunque ai professionisti delle notizie, quelli la cui penna è gravata del peso della vendita e dell'audience e per questo hanno una giustificazione (per quanto condivisibile o meno), bensì studenti, impiegati, medici, avvocati, commessi, manager, aspiranti scrittori, idraulici, ingegneri, programmatori, aspiranti cantanti, bancari, camionisti e baristi. Costoro una giustificazione non ce l'hanno. Tuttavia se ne stanno tutti lì, a volte quasi come fosse un dovere, e gridano al bastardo, orco, mostro, bestia! E lo fanno come se questo facesse stare meglio loro, sfogasse una specie di rabbia empatica, perché di certo al bastardo, orco, mostro, bestia non gliene frega proprio niente, in questo momento, degli indici puntati su di lui e delle grida e delle smorfie e degli sputi. Senza dubbio ha ben altro cui pensare. Come non può importare a quella madre che ha perso la figlia in quel modo, né alla figlia dell'assassino, che in pochi istante si è ritrovata un genitore trasfigurato in un'anima nera come il fondo di un pozzo. Anche loro hanno certamente altri pensieri per la testa.
Invece questo assassino è solo un uomo. Un disgraziato, se volete. O un folle. Uno sciagurato. Un miserabile. Un infame. Di attributi e sinonimi ce ne sono in quantità, ma non sono di utilità a nessuno, se non a illudere chi li lancia di aver esercitato un surrogato del linciaggio. Costui è un uomo che ha commesso un gravissimo delitto. E se esiste uno Stato e dunque una Legge che prescrive quale deve essere la pena in questi casi, ebbene è il momento di lasciare fare. È il momento del silenzio e del rispetto nei confronti di tutti, anche soltanto perché, che piaccia o no, come la vittima anche l'assassino è un "essere umano" e basta questo a conferirgli il privilegio di avere dei "diritti". Per lo stesso motivo per cui non bisogna mai smettere di rifiutare di appendere un uomo a un ramo o di prendere a pietrate una donna, per quanto la vocina dell'istinto a volte da qualche parte sussurri (o gridi) il contrario. Perché non ha alcun senso cercare di arginare il compimento di un delitto, con la perpetrazione dello stesso identico delitto. Anche se a volte è difficile applicarlo, il principio del rispetto per la vita vale sempre, che siano cappi, pietre o aggettivi.

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