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Lapsus calami, lapsus linguae… Lapsus auris, lapsus oculi!

Creato il 31 marzo 2013 da Indian

Lezioni condivise 75 – La ricerca linguistica sul campo

Riflettevo contingentemente sull’interdisciplinarietà culturale ad ampio raggio, ma soprattutto sul rapporto fra scienza e cultura, in particolare tra scienza e letteratura. Gli esempi, anche non contemporanei, potrebbero sprecarsi: mi viene in mente A Tale of Two Cities di Charles Dickens, scritto a metà ottocento; ma il romanzo storico è un classico, tuttavia fa testo eccome. Non solo rende più approcciabili i crudi avvenimenti, ma rappresenta senza dubbio, la premessa alla Labor history, alla cultura materiale, insomma la Cultural History. Ma davvero non sono mancati esperimenti di vario tipo sul connubio tra scienza e cultura.

Avendo pensato a ciò mentre ragionavo di ricerca sul campo, linguistica, potrete immaginare forse… Lo scopo non è solo quello di far passare un argomento altrimenti impegnativo, ma anche di renderlo gradevole, coniugare scienza e bellezza, come tendenza, come aspirazione. Pensieri…

Lo studioso durante i mesi invernali seguì nella sua Facoltà un corso di preparazione alla ricerca sul campo, al termine del quale avrebbe potuto avviare le sue rilevazioni per il nuovissimo atlante linguistico sardo (NALS). Fu in quell’occasione che incontrò Rosa, non la vedeva da dieci anni. Entrambi ebbero difficoltà a riconoscersi, come quando si ha bisogno di focalizzare qualcosa, poi lui si fece avanti, prudente, come raccomandava il passato. Talvolta accade che il tempo sistemi alcune cose, limi e modelli. Lei sembrava tornata la ragazza delle prime ore in cui si conobbero e come allora lo stupiva.

Durante il corso ebbero modo di raccontarsi l’un l’altro le loro vicende personali, che si erano come capovolte, lui ora era libero, lei si barcamenava in uno di quei rapporti che si sogliono definire “complicati”. Questa volta il feeling sembrava promettente e non ci furono contrattempi di sorta. Paolo si domandava perché temporeggiasse, l’episodio di tanti anni prima lo condizionava e non voleva rovinare il bel rapporto che stava nascendo.

La primavera successiva riuscirono a farsi assegnare il lavoro nella stessa zona, coprivano insieme un vasto territorio della Sardegna centrale, zona di montagna e altopiano, con una viabilità a tratti fatiscente.

Il lavoro durò parecchi mesi, non era necessariamente quotidiano e continuativo, era suddiviso in diverse fasi, e dava la possibilità di svolgere contemporaneamente altri compiti.

Lo schema metodologico che dovevano seguire era a grandi linee questo:

Lapsus calami, lapsus linguae… Lapsus auris, lapsus oculi!

 

Paolo e Rosa, per ogni punto di indagine stabilito, attraverso qualche colloquio nella piazza o nei punti di ritrovo, individuarono progressivamente quali potevano essere i loro informatori, verificando che possedessero le caratteristiche necessarie; doveva trattarsi di persone lucide , senza di difetti di pronuncia, che fossero bene accetti alla comunità paesana, che fossero del posto.

Entrambi si erano dotati di un questionario strutturato, con un numero corrispondente ad ogni domanda, suddiviso in  terminologie semantiche omogenee.

Ogni parola oggetto di indagine era inserita in una frase, onde scongiurare risposte affrettate ed erronee e non condizionare l’informatore con domande dirette. Ciò consentiva peraltro lo studio più articolato della lingua, rilevandone anche la struttura. L’intervista doveva apparire libera, benché in realtà fosse guidata. Se  l’informatore si scostava dal discorso, tuttavia, non bisognava  intervenire bruscamente, ma riprendere il filo in modo naturale, per evitare una chiusura o risposte non spontanee.

Quando lo ritenevano necessario e inevitabile per individuare immediatamente le variazioni lessicali da una comunità ad un’altra, potevano ricorrere all’esibizione di disegni o fotografie, senza interferire minimamente. Tutto dipende da ciò che si vuole ottenere; in certi casi ad esempio, quando l’informatore è dello spirito giusto lo si può far parlare liberamente con un semplice imput, per far emergere le parole cercate nel contesto di un discorso spontaneo, interferendo il meno possibile.

In questo modo Rosa e Paolo andarono avanti per mesi, in un lavoro molto impegnativo, con diverse pause, ma per loro fu una favola: lavorare insieme per un’attività che amavano, che ogni giorno si arricchiva di scoperte ed aneddoti curiosi e interessanti.

Man mano che il lavoro procedeva, lo stesso veniva elaborato con la trascrizione fonetica delle forme linguistiche previste, della descrizione e della riproduzione fotografica degli oggetti legati al lavoro, sia sotto il profilo linguistico, sia etnografico.

Rosa tenne anche un diario sopra il quale annotò le vicissitudini della ricerca sul campo: gli incontri, gli spostamenti, i problemi nel rapporto con la figura dell’informatore. Per un lavoro così minuzioso e certosino non potevano esserci che future soddisfazioni.

Ma il diario di Rosa trattava anche di episodi meno paesani, legati agli spostamenti tra una località e l’altra, distanze a volte superiori anche ai 30 km., tra strade piene di curve che si arrampicavano sulla montagna, poi scendevano e tornavano a salire, con il bosco da entrambi i lati… Bosco che fin dall’inizio fu galeotto: invito e tentazione.

Quel giorno, che il pretesto fosse stata la fame, o il non voler interrompere giungendo a destinazione una interessante conversazione che avevano intrapreso con una complicità non palesata, si trovarono fermi all’interno del bosco, ad una ragionevole distanza dalla strada principale, non c’era anima viva a parte loro, così almeno sembrava…

Paolo diceva: “Ritengo che i fenomeni di anomalia linguistica debbano trovare spazio nella didattica elementare, non parlarne accentua solo luoghi comuni e una certa ignoranza generica e contagiosa”.

e Rosa: “In realtà a volte è antipatico sentire certe lezioncine, castronerie, cui è troppo imbarazzante replicare”…

Il dialogo proseguiva regolare e se entrambi erano d’accordo a giudicare eccessiva l’importanza che Freud dava ai lapsus verbali, non sarebbe stato onesto fare altrettanto riguardo all’evoluzione della loro posizione fisica, man mano che il “trattatello didattico” si sviluppava.

“A volte ci si fanno assurde seghe mentali psico-accademiche per spiegare fenomeni elementari, frutto semplicemente di stress o di quella idiodislessia che ciascuno possiede, frutto dell’unicità di ciascuno di noi e soprattutto dell’unicità della formazione, anche linguistica, di ciascuno di noi”.

“Cia-scu-no di noi…” lo sguardo intenso che emanò dagli occhi di Rosa mentre sillabava sarcasticamente, produsse una non preventivamente dichiarata fusione dei due corpi, un’esplosione sorprendente di passione linguistica, che avrebbe reso problematico continuare il dialogo.

Fu una buona ora di dislessia pura, mormorii, lamenti, sussurri, sospiri, fonemi… cui corrispose una più completa fusione corporea, innesti, intrecci… Incredulo lo stesso dio Pan.

(Linguistica sarda – 19.2.1997) MP

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