Pubblicato da lapoesiaelospirito su ottobre 13, 2011
Conversazioni con i critici Paolo Pomati, Giusi Baldissone, Tonino Repetto e con l’autrice Laura Bosio
di Guido Michelone
Forse non è un caso che la protagonista del nuovo libro di Laura Bosio, il romanzo Le notti sembravano di luna (Longanesi, Milano 2011, pagine 215), Caterina, dieci anni quinta elementare in una città di provincia innominata (ma chiaramente identificabile con Vercelli borgo natale dell’Autrice, da trent’anni trapiantata a Milano), ami la bicicletta e viva negli anni Sessanta: due argomenti, quest’ultimi – la bicicletta e gli anni Sessanta – oggi di moda per varie ragioni. Il grande antropologo francese Marc Augé pubblica nel 2009 Il bello della bicicletta (Bollati Boringhieri) che è il primo importante elogio del mezzo da parte di un intellettuale a quasi mezzo secolo di distanza dall’esaltazione che ne fecero l’unico movimento giovanile dotato di due ruote, i Provos olandesi con le loro biciclette bianche pacifiste. Laura Bosio non parla né di Augé né di Provos ma il messaggio è chiaro, sebbene implicito. Semmai, in una recente tavola rotonda, di un libro poliedricamente affascinante, sono emersi altri temi, come spiegano via via tre diversi interlocutori (oltre l’Autrice stessa), nell’ordine Paolo Pomati (operatore culturale), Giusi Baldissone (italianista), Tonino Repetto (critico letterario).
Paolo Pomati
Michelone: Come sintetizzeresti il nuovo romanzo di Laura Bosio Le notti sembravano di luna?
Pomati: Come la storia di Caterina Guerra, bambina diventata donna, che racconta il suo passato negli anni 1963-64 a un interlocutore che sarà svelato solo alla fine, con un incredibile congegno narrativo, come uno specchio dialogante che chiosa, commenta, corregge le memorie di Caterina stessa.
Michelone: Laura Bosio è per la critica la ‘narratrice dell’anima’…
Pomati: Forse sarebbe meglio definirla una narratrice di anime, intese quali voci piccole, minime, quasi volti nascosti, che la protagonista vuole scoprire. Infatti Caterina tenta di capire il mondo che le sta attorno negli anni del boom economico in cui le spinte costruttive del dopoguerra si sfilacciano con le prime contestazioni.
Michelone: In tal senso sono fondamentali i due genitori di Caterina.
Pomati: Infatti il padre Enrico e la madre Adele iniziano a non capire più il mondo circostante: lui quindi di sera sul balcone manifesta le inquietudini personali e politiche facendo comizi agli orti; lei, con l’improvviso benessere, è catapultata nella piccola borghesia, costringendo la figlia a lezioni di inglese e di pianoforte, ma è una donna piena di contraddizioni, dura, rigida, severa, sfuggente, imprevedibile, anaffettiva.
Michelone: Nonostante le difficoltà di rapporto con i genitori, Caterina rimane con un atteggiamento positivo di fronte alla vita.
Pomati: Sì, Caterina non si abbandona mai alla disperazione, perché ha dalla sua l’amore per la bicicletta, con la quale sfreccia, pedala, ricerca, decifra con la leggerezza di un’anima archetipa in un universo sconcertante e magnifico che è quello dei bambini: e si capisce che è una ribelle, una non alienata nell’apparente domesticità della piccola casa…
Michelone: C’è qualche altro elemento che hai gradito nel libro?
Pomati:
Giusi Baldissone
Michelone: Cosa ti ha colpito maggiormente di Le notti sembravano di luna?
Baldissone: Anzitutto il meraviglioso incipit del libro, con scrittura rara, sintetica, pensata, incastonata che non è più rivolta a una struttura normale, anche perché sembrerebbe un romanzo denso di promesse che si potevano evolvere tragicamente, ma che così non è. La bambina che corre verso piccole fughe o altre deviazioni per perdersi un pochino, di fatto poi rientra; Caterina sembrava dunque promettere una tragedia…
Michelone: Ma tragedia non è e non è stata… E allora a che genere guadare narrativamente parlando?
Baldissone: Bisogna anzitutto domandarsi fino a che punto era un discorso che ha reso autobiografica la finezza nel narrare nascondendosi; io, a metà dell’opera, mi sono accorta che questo libro è un magnifico palinsesto che dava la sua scrittura e la sua capacità di narrarsi attraverso il romanzo; il fatto di essere un palinsesto è la capacità astuta e profondissima di tirar fuori il meglio di questa sua memoria e, per l’autrice, di misurarsi con una costruzione e uno schema narrativo che non deve essere spontaneo, altrimenti è difficile che si arrivi a scrivere qualcosa che vale per tutti. Dico questo, perché non si può scrivere di getto su se stessi, perché è una trappola, ma poi diventa qualcosa che non dice molto a nessuno.
Michelone: Quella di Laura Bosio è quindi una grandissima operazione meta letteraria?
Baldissone: Sì, perché entra dentro la struttura di un libro come Infanzia di Nathalie Sarraute, non a caso citato nell’esergo, trasformandolo nel suo codice e nel suo modello.
Michelone: Ma quali elementi in comune possono esistere (e coesistere) tra la scrittura di Laura Bosio e quella di Nathalie Serraute?
Baldissone: La grande sfida è accettare la sua memoria; attraverso il narrare senza narrare dell’avanguardia francese degli anni 60-70, la cosiddetta école du regard o nouveau roman, la Sarraute snoda la struttura attraverso lampi di pensiero prima ancora che si trasformi in scrittura. Anche la Bosio va dentro la sua memoria con una sorta di grido simile a quello della Sarraute. Quest’ultima ci racconta che il grido della bambina nasce dall’osservare la tata che cuciva la lana e le forbici in primo piano. Prima che memoria è cervello ancora da esaminare.
Michelone: E il palinsesto di cui parlavi?
Baldissone: Poi pian piano ci si rende conto che il palinsesto va avanti, narrandovi esperienze molto diverse: però c’è sempre questa struttura da parodia da palinsesto che salta fuori fortissima. Ci sono nel romanzo molte spie o sguardi in macchina che la Bosio meravigliosamente si concede come dire ‘sono felice di potermene giovare, usare questo e dire altre cose’: è la bellezza della struttura che non ha il carattere dell’irruzione dell’io senza schermo.
Michelone: E a proposito di schermo, non ti sembra che la Bosio usi quasi un linguaggio cinematografico?
Baldissone: Le tecniche che usa sono certamente più fotografiche e cinematografiche rispetto alla Sarraute, perché ad esempio la Bosio rappresenta molti oggetti, a cominciare dalle gambe-oggetto del sogno di ciclista di Caterina. Le gambe della bambina sembrano oggetti che appartengono al corpo ma al contempo sono distaccati, come se la bambina fosse cresciuta attorno a queste gambe e ai sogni del futuro, come le gambe di Dora Markus nella poesia di Eugenio Montale, gambe che il poeta non ha mai viste, perché le ha ammirate solo in una foto inviatagli da Bobby Baszlen.
Tonino Repetto
Michelone: Essendo tu amico di Laura Bosio, hai seguito da vicino al genesi del libro Le notti sembravano di luna?
Repetto: In effetti ho visto crescere un testo che si modificava a seconda delle suggestioni. C’era anzitutto il problema del fratello, che corrisponde a quello di un tu indistinto, che faceva da contraltare alla narratrice: alcuni lettori magari conducono il tu una sorta di super ego letterario, altri l’identificano con la madre. In realtà il fratello nascosto esisteva già nascosto, perché c’è un passo in cui Caterina chiede alla madre un fratellino. L’idea geniale è assegnare il tu al fratello, persona inventata che è al contempo il primo interlocutore del racconto, ma anche un personaggio particolarmente fiabesco, come fiabesche sono molte componenti del testo.
Michelone: In che senso fiabesche?
Repetto: Il fratello è quasi come un gnomo, un personaggio della foresta incantata, con una funzione di chi, ridendo o sghignazzando, serve forse per tenere a bada la voce narrante che non è Caterina adulta, ma per un gioco di specchi è un personaggio di donna adulta (non un io autobiografico). Il mistero del fratello è anche tale perché l’io narrante si rivolge per risolvere problemi stilistici e letterari.
Michelone: In tal senso è straordinario nella Bosio l’uso dei tempi verbali.
Repetto: Laura usa il trapassato prossimo e l’imperfetto perché sono i tempi dei racconti infantili della fiaba, perché è un flusso temporale che non si conclude mai. C’è solo un uso parco di qualche passato remoto spiegato con la regionalità del nonno di origine siciliana.
Michelone: Parlando di tono fiabesco, hai trovato altre suggestioni come lettore?
Repetto: C’è una sorta di dimensionamento tipico dell’infanzia, ad esempio le case come scatole, la fabbrica invece come una scatola più grande, un po’ come il gioco del Lego, che dà una visione infantile recuperata nelle cose, come pure vedere le persone come gigantesche.
Michelone: Tu sei anche quello che trova sempre riscontri o analogie fra libri o personaggi.
Repetto: Ad esempio i periodi lunghissimi particolarmente elaborati che Laura adopera, simbolicamente riproducono le volute di Caterina sulla bicicletta. Oppure il personaggio del padre è esemplificato in quello tratteggiato dal polacco Bruno Schultz nei racconti Le botteghe color cannella del 1933 con un’intertestualità letteraria che denota un grande lavoro sul lessico e sulle espressioni; ad esempio un periodo inizia partendo come se si dovesse concludere al modo solito come una frase fatta, ma invece Laura piazza un aggettivo imprevisto che lascia piacevolmente sorpreso il lettore.
Michelone: Cosa è ancora Le notti sembravano di luna?
Repetto: Un romanzo in cui ci si identifica affettuosamente con la bambina, facendo recuperare nel lettore i ricordi d’infanzia, che fa diventare il libro commuovente, nel senso etimologico, cioè che muove dentro qualcosa.
Laura Bosio
Michelone: Condividi quanto detto sul tuo romanzo da Paolo Pomati, Giusi Baldissone e Tonino Repetto?
Bosio: Sì, molto, e li ringrazio per le belle osservazioni. Ho preso alcuni appunti, per rispondere a quanto detto finora. Sono d’accordo che non si debba scrivere di getto dell’infanzia: io avevo voglia di ritornare all’infanzia, ma non mi interessava raccontare la mia infanzia in senso stretto, per quanto schegge possano essersi inserite inconsciamente; avevo invece il desiderio di riattivare un sentimento, possibile quanto più m’inventavo un gioco anche crudele.
Michelone: E la Sarraute ti è venuta incontro?
Bosio: Sì, con il libro Infanzia mi ha offerto una possibilità di inventare un interlocutore che permettesse a un io narrante di farlo, giocando a inventare una storia di qualcuno che fosse il più possibile vicino; e questo gioco dell’inventare storie (che è il gioco dell’infanzia) è ciò che ho in mente di fare ed è quello che ha poi fatto la lingua, la scelta delle parole.
Michelone: Laura, tu e la bambina…
Bosio: La bambina viene raccontata con lo sguardo di una bambina anche secondo la consapevolezza di un’adulta, ma vede le cose come le vedono i bambini e questo mi ha permesso di avere quel sentimento in cui è possibile che si riconoscono anche altri, senza bambineggiare troppo.
Michelone: Perché la bicicletta?
Bosio: A me interessa la velocità, le corse, in un precedente libro parlavo di gare automobilistiche, ma amo una velocità un po’ curiosa, come Paolo Conte nella canzone Velocità silenziosa.
Michelone: Infine, che cosa si ricorda di più nel mosaico dell’infanzia?
Bosio: Ricordiamo qualcosa di fisico e dunque attraverso gli oggetti ci si racconta perché gli oggetti si raccontano. A me interessa dare voce ai personaggi minimi, dare voce alle vite comuni, qui. In Le notti sembravano di luna, una famiglia come tante negli anni Sessanta, che cerca di ‘salvarsi’. Ma, se c’è salvezza nei miei personaggi, è duramente pagata da loro.