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Lavoro e crisi in Europa secondo Pini

Creato il 08 settembre 2014 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Arianna Genovese

La ripresa economica passa per l’aumento della produttività. Ma quest’ultimo deriva dalla flessibilità del lavoro o dall’aumento dei salari?

Lavoro, contrattazione, Europa. Per un cambio di rotta by Paolo Pino (ed. Ediesse, Roma, 2013)

Lavoro, contrattazione, Europa. Per un cambio di rotta by Paolo Pino (ed. Ediesse, Roma, 2013)

Paolo Pini, in Lavoro, contrattazione, Europa. Per un cambio di rotta, Ediesse, Roma, 2013, offre un’interessante riflessione sui principali nodi legati allo sviluppo italiano, con riferimento al contesto europeo. Il libro ha una fortissima carica di attualità, che però va oltre i commenti basati sulla contingenza.

Il testo racchiude un insieme di saggi pubblicati dall’autore, che ripercorre alcune tappe cruciali del periodo 2012-2013. Esso evidenzia l’incertezza di alcuni percorsi normativi e l’inadeguatezza di esperienze come l’Accordo per la produttività[1] ed altri tentativi promossi dalle parti sociali (pp. 20-23), dal Progetto per l’Italia, promosso da Confindustria[2], al Piano per il lavoro della Cgil[3], giusto per citare i più noti. Innegabile il tono di insoddisfazione del libro. Ma l’autore non si limita alla pars destruens, affronta invece in modo propositivo i diversi argomenti, e auspica un patto sociale attivo per attuare una cooperazione tra i vari soggetti.

Sulle politiche per il lavoro, per Pini la strada da seguire è del tutto opposta rispetto alla smaniosa ricerca di flessibilità, adottata in Italia a partire dagli anni ’90. La sua proposta è sintetizzata nella “regola d’oro distributiva, ovvero la proporzionalità tra crescita delle retribuzioni reali e crescita della produttività del lavoro” (p. 224). A supporto di questa regola egli cita due rapporti internazionali che per l’Italia fotografano la crescita sempre più contenuta della produttività, e la rottura del rapporto tra produttività ed aumento delle retribuzioni reali; due elementi che pesano in negativo sulle dinamiche dei mercati[4].

Per la competitività, Pini individua due passaggi decisivi per attuare un cambio di rotta: condizioni più omogenee nell’eurozona per il costo unitario del lavoro, ed un ripensamento dell’attuale equilibrio tra contrattazione nazionale e contrattazione decentrata.

La contrattazione di secondo livello, che interessa poco meno del 30% dei rapporti di lavoro[5], potrebbe rappresentare una leva strategica per la produttività. Consentirebbe la sperimentazione di forme di miglioramento qualitativo del lavoro in termini di organizzazione produttiva ed innovazione tecnologica, traducendosi in un vantaggio competitivo per l’impresa. Inoltre, essa potrebbe accompagnarsi al “salario di partecipazione”, in contrapposizione al “salario variabile e flessibile di derivazione fordista”[6], per coinvolgere dipendenti e imprenditori in un circolo virtuoso.

Per Pini, quindi, diventa centrale il superamento del falso mito della flessibilità dei rapporti di lavoro, concentrando gli sforzi verso l’innalzamento del tasso di innovazione nei luoghi di lavoro, da cui dipenderebbe la possibilità di nuovo slancio produttivo a favore della crescita.

Infine, appare molto interessante la riflessione sullo spazio europeo, specie ora che le recenti elezioni ne hanno ridisegnato gli equilibri, e che l’Italia è alla giuda del semestre di presidenza. L’autore – orientato verso un’evoluzione politica che porti agli Stati Uniti d’Europa – riflette attorno al meccanismo di costruzione dello spazio comune, e sottolinea l’accentuarsi delle differenze esistenti tra paesi forti e paesi deboli.

Secondo Pini, la crisi attuale dell’area euro deriva in parte dagli squilibri dei saldi commerciali tra i diversi paesi UE. Le economie dei paesi più forti si fondano soprattutto su quote di commercio intra-europeo; sicché oggi, se salta l’economia di un paese, saltano tutte le altre. L’esito è quello che ben conosciamo. In seguito alla crisi economica 2008-2011, in Europa è scattata la psicosi dei “compiti a casa”, in particolare per Grecia, Spagna e Italia. Ciò, al prezzo di elevate tensioni sociali e di un crescente impoverimento.

Dai fatti alle proposte. È necessario un superamento dell’impostazione liberista che ha caratterizzato l’Europa fino ad oggi, in un mix di rigore economico, supremazia dei mercati, riduzione del welfare, introduzione di vincoli in materia fiscale e deregolamentazione del lavoro. Un’altra UE è possibile, e per Pini passa da questi sette punti cardine:

  1. estendere competenze e poteri della Bce, affinché essa operi a pieno titolo come banca centrale;
  2. sbloccare gli investimenti pubblici finanziati sui bilanci nazionali, al di fuori dei vincoli previsti dai Trattati;
  3. emettere eurobond, con tipologie diversificate, per finanziare progetti europei che sostengano iniziative di crescita qualitativa;
  4. ampliare la dimensione del bilancio pluriennale, che ora pesa solo l’1% del Pil dell’insieme degli stati membri;
  5. rendere più omogenei i regimi fiscali nell’ottica di un’armonizzazione comunitaria;
  6. coordinare le politiche economiche degli stati membri al fine di ridurre gli squilibri dei flussi commerciali;
  7. intervenire sul sistema bancario, esercitando un’azione di controllo affinché il credito torni ad essere in funzione dell’economia reale[7].

[1]Accordo per la produttività, proposto da Confindustria il 16/11/2012, in http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-11-21/linee-programmatiche-crescita-produttivita-214548.shtml?uuid=Ab8CnE5G.

[2]http://www.confindustria.it/Aree/DocumentiPub.nsf/386B9AC5F35F1DFBC1257B6B0048B837/$File/Progetto%20Confindustria%20per%20Italia.pdf

[3] http://www.cgil.it/Archivio/EVENTI/Conferenza_Programma_2013/Piano_Del_Lavoro_CGIL_gen13.pdf

[4] ILO, Wages and Equitable Growth, 2013 e Commissione Europea, Employment and Social Developments in Europe, 2012 in Pini, op. cit., p. 105.

[5] Il dato si intende riferito ad aziende con almeno 10 dipendenti, stando allo studio di ISAE del 2009 (Pini, op. cit., p. 223).

[6] Ibidem, p. 226.

[7] Pini, op. cit. p. 99 – 101.

L’articolo 8/9/2014


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