Maria Rosaria De Medici, conduttrice della rubrica di approfondimento Fuori Tg su Rai3, si domanda cosa conviene fare di fronte ad una emergenza? Abbandonare tutto, lasciare le proprie case e scappare oppure restare e tentare di salvare il salvabile? Quesiti di estrema attualità visto che l’argomento trattato con gli ospiti: Iganzio Marino, presidente commissione sanità e Alessandro Plateroti, vicedirettore del Sole24h, riguarda l’Ilva dopo le ultime decisioni del governo e in particolare a seguito del decreto sulla bonifica e del mantenimento in vita degli impianti dell’acciaieria italiana.
Via libera del governo al decreto legge che permette all’Ilva di Taranto di riprendere la produzione ma anche la bonifica. La società deve rispettare pienamente le prescrizioni ambientali, è in sintesi, il contenuto del decreto. Il governo stabilisce che i provvedimenti di sequestro e di confisca della Magistratura non impediscono all’azienda di procedere con gli ademnpimenti ambientali ma anche alla produzione e alle vendite. Insomma si può continuare ma, tutto secondo precisi paletti previsti dall’AIA (‘autorizzazione integrata ambientale del ministero) che obbliga l’azienda al rispetto della procedure e dei tempi di risanamento.
Vista la complicata vicenda che ruota attorno a questa enorme fabbrica italiana è bene domandarsi che ruolo abbia questa acciaieria nell’economia e nel sistema industriale italiano. Se davvero questa fabbrica è strategicamente così importante per l’Italia, ci chiediamo perché mai anni fa sia stata privatizzata, e soprattutto perché oggi, a fronte di ciò che sta accadendo all’ILVA e a Taranto, non si proceda all’esproprio e alla nazionalizzazione? E infine quanto viene tutelata la salute, bene fondamentale anche secondo la nostra Costituzione?
Come malauguratamente si è dimostrata, dopo la chiara preterintenzionalità da parte dell’azienda nel creare un disastro ambientale con effetti devastanti per quel territorio, sarà oppotuno affidare a un commissario esterno, il più possibile competente, obiettivo e neutrale e alla sanità i doverosi controlli dell’opera di risanamento, perché fidarsi è bene…presentando ovviamente il conto ai proprietari, colpevoli di numerosi decessi nella popolazione tarantina e nei lavoratori.
Ma cosa ne pensano gli interessati ? ” Non deve chiudere, altrimenti ci sarà il collasso di Taranto, della Regione e della Nazione” – ” Ci sono famiglia da mantenere, abbiamo un mutuo”. Operai con davanti a loro un Natale difficile.
” La salute è giusto che si salvaguardi, però anche il posto di lavoro”. Operai che vivono nell’incertezza da quando la Magistratura ha sequestrato gli impianti per tutelare la loro salute e quella della città.
Eppure, tutti sanno dei veleni nell’aria e nell’acqua. Tutti sanno che a Taranto si muore di inquinamento. ” Dovrebbe essere il padrone a mettersi una mano sulla coscienza e a cacciare i soldi che servono per fare la bonifica e andare avanti”. Operai che non voglino pensare di perdere il posto di lavoro in un momento di crisi. Per questo, in tanti, hanno accolto positivamente l’intevento del governo che ha autorizzato l’azienda a lavorare per tre anni imponendole un percorso di risanamento ambientale.
Due elementi essenziali: la salute dei lavoratori e dei cittadini e il lavoro che possono viaggiare insieme, ma non in Italia.
L’Ilva nel frattempo ha iniziato i lavori di rifacimento degli impianti, almeno quelli più obsoleti. Rimane il dubbio se possieda le risorse concrete per affrontare i previsti 4 miliardi di risanamento. Migliaia i cassa integrati e navi ferme in porto che attendono di scaricare il materiale. Plateroti: ” È ovvio che davanti a una spesa di 4 miliardi di euro come preventivato per risanare gli impianti, il problema sia come far quadrare il cerchio. Bisogna tener presnete che all’Ilva lavorano 11.000 person ee altrettante nella filiera, nel monemto in cui la produzione in Italia è diminuita dell’8%, mentre i paesi asiatici spingono sul mercato la loro produzione di acciaio. È una cartina tornasole dell’assenza della politica industriale, se noi continuiamo a intervenire senza prevenire con un piano nazionale della siderurgia, l’Ilva è solo un episodio, domani ce ne sarnno altri”.Appare evidente la contraddizione capitale-natura interna al conflitto capitale-lavoro. “ Ignazio Marino:” Bisogna cessare di mettere in conflitto due diritti, stiamo parlando di reati gravissimi che hanno provocato la morte di molte persone, la Magistratura deve intervenire, non possiamo non partire dai dati. Abbiamo un 11% di mortalità in più nella zona della fabbrica rispetto al resto della Regione. Tumori aumentati del 100%, bisogna cercare delle soluzioni”.
Non bisogna abbassare l’attenzione perché se l’impianto chiuderà i battenti verrà abbandonato e dimenticato ma, i danni, continueranno a esserci.Le polveri non danno scampo. Diossina, benzene e altri inquinamenti cancerogeni si insinuano nel territorio aumentando il rischi di tumori eredidari.
L’azienda contesta i dati e non crede alla contaminazione. Attorno all’Ilva si consuma il conflitto tra le ragioni del profitto e il diritto alla salute dei cittadini. La produzione dell’Ilva pesa anche sul Pil e sulla produzione dellindustria, l’acciaio per quanto sostituito da nuovi materiali continua a essere uno dei componenti principali dell’industria delle auto e degli elettrodomestici. E con l’acciaio si pagano gli stipendi agli operai. Il danno è rilevante, causato da anni di non controllo. Eppure dobbiamo iniziare a cambiare mentalità, se in Italia non cominciamo a verificare che le norme ambientali vengano rispettate e se non introduciamo il concetto della certezza dell’applicazione delle legge, nessuno rispetterà l’ambiente. Si arriverà sempre all’emergenza. Il tutto condito da una nuova mentalità che preveda profitto e salute dei lavoratori. L’Italia è ancora un paese siderurgico che dispensa lavoro, inquinamento e morte. Serve collaborazione e politiche industriali indirizzate ad una utilità collettiva. Se non viene attuato continueremo ad essere il Paese dell’eterna emergenza.