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Armi chimiche. Parliamo di armi. Sia chiaro. Che siano chimiche è una questione da trattare con le pinze. 1400 vittime accertate direttamente collegate all'impiego di armi chimiche – pur quanto sul numero ancora non vi siano conferme definitive, poco importa: la gravità, dal mio punto di vista, consiste nel sottile gioco messo in atto – cosa hanno messo in moto? Quali sono le conseguenze palpabili? Fosforo bianco e proiettili antisommossa sparati ad altezza uomo per disperdere le genti. Copione già tristemente noto. Tante volte. Troppe volte. Non abbastanza, evidentemente. Il resto del mondo non ha alzato un dito. Il resto del mondo non alza un dito. Non alza un dito perché non sa quale dito alzare e come. La Siria, chiaramente, è una questione diversa. Quando si parla di Siria, d'improvviso si torna ad utilizzare un profilo alto. Anche nella terminologia. Fantomatiche creature della lingua cominciano a palesarsi: morale. Brutta bestia la morale. L'azione morale è stata tradotta attraverso un pessimo ragionamento di associazione anche all'attore. Così chi agisce moralmente, è morale. Quindi responsabilità morale, non è solo la responsabilità morale, non è la sola azione morale ma è anche l'essenza morale. Il 31 agosto, il presidente statunitense Obama ha caricato emotivamente gli auditori con un discorso che è parso turbinare un intervento armato congiunto. Congiunto: a chi? La confusione sul piano internazionale nei vari momenti che hanno seguito il discorso, fino al gelo di Putin, hanno messo in scacco un'azione internazionale degli USA già carente di credibilità. Credibilità. Perché la morale rientra nel thesaurus quando si parla di Siria. Dimenticando la questione spinosa dei droni in Pakistan, in Afghanistan e nello Yemen. Non sono armi chimiche. Certo. Si dovesse cominciare a discutere di ambiguità, verrebbe una prima domanda: qualcuno pensa che un eventuale intervento degli USA in territorio siriano sia guidato da considerazioni di carattere morale?
Becera e querula come provocazione. Eppure, la comunità internazionale che tanto vuol significare e molto poco vuol dire, dov'è? Chi è la comunità internazionale? Facile parlare di comunità. Difficile, poi, come dimostrano le realtà fattuali, impedire che la comunità immobilizzi sé stessa.
Non occorre andare così lontano per chiedersi circa la moralità – non mi pare il caso di rivangare il Vietnam, quando la moralità si chiamava Charlie e aveva l'odore del napalm o ancor peggio di un recentissimo Iraq quando moralità puzzava di un liquido viscoso e nero e i nomi altro non erano che carte da gioco – basta ripercorrere le ultime ore di un Egitto che ha visto disordini gravissimi e le conseguenti posizioni, o che dir si voglia non-posizioni, della compagine di Washington circa l'islam politico. Già l'islam.
Certo, le pressioni di Washington nel non appoggiare l'esercito siriano libero, temendo che tra le fila disordinate e scomposte vi si nascondesse una matrice terroristica non suggeriscono un clima di fiducia nella zona di un possibile intervento; non di meno, la forte e sentita delusione nei confronti di una politica estera che avrebbe dovuto “cambiare” radicalmente le intese delle linee politiche nel Medio Oriente ma che in pratica, ad oggi, lascia insoddisfatti. La questione palestinese è un buona cartina tornasole. L'immobilismo statunitense si muove in direzione univoca. La diffidenza del mondo arabo, non avrebbe potuto che essere più chiara. Non ha sortito alcun effetto la “linea rossa”. Anzi, semmai, ha indispettito ulteriormente. La Linea Rossa, come quella disegnata con un pennarello da Netanyahu, nel settembre 2012, dinnanzi all' Assemblea Generale dell'ONU, in un grafico circa la possibilità dell'Iran di dotarsi di armamento nucleare. Il muflone che accusa la capretta di avere le corna.
In Siria, è guerra civile. Questo non lo si vuol capire.
I siriani stanno dimostrando un grande coraggio. Grande coraggio, nel ribellarsi ad una dittatura. Grande coraggio, perché ancora oggi non vedono che la possibilità di vittoria e, se ne avranno la possibilità, si ergeranno fieri, mostrando agli “eserciti della salvezza” che fondare una nazione democratica è possibile senza l'intervento di coloro i quali da sempre si vantano di esportare democrazia senza controllare cosa, insieme alla tanto cara democrazia, riesce ad intrufolarsi. A volte, anche a sostituirsi.Filippo M.R. Tusa
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