Venerdì 18 Novembre 2011 11:20 Scritto da Rossella Pompeo
Loro erano piccine e salivano su e poi scendevano dalle piccole montagnole di rocce sull’asfalto. Era il sistema marino intero ricreatosi così di botto nelle mia città, sull’asfalto nero e bianco loro avevano trasportato la loro famigliola al completo, numerosissima.
Tutti i parenti prossimi e lontani erano lì, nella pozzanghera. Fu in un giorno di pioggia che il mare s’ingrandì così tanto e immensamente che le onde trasbordarono fuori oltre la riva, mangiando tutto quello che trovavano sul loro cammino. Il mare s’era arrabbiato e tutta la sua furia usciva fuori e tutti si misero a scappare via più in fretta possibile.
La città tutta intera era stata mangiata dal mare impazzito. Nulla ne restava più.
Gli esseri umani se la diedero a gambe rifugiandosi nella pineta fuori le porte della città. Il mare si era ingrandito, aveva vinto la sua battaglia giornaliera con la riva che da secoli gli dettava i confini, lui aveva osato oltrepassarli e ora era il padrone assoluto e con lui tutta la flora e la fauna marina. Persino i cavallucci poterono moltiplicarsi infiniti perché ormai c’era più spazio per tutti nell’acqua salata. Eppure qualcuno era rimasto senza mare. C’era qualcuno che non aveva più la sua casa nel mare, l’aveva persa. Ah! Quella furia delle onde! Così infuriate avevano scaraventato tutto. Loro così grandi e immense e con quei cavalloni enormi. Mille e forse più. Era nel cavallone più grande, dalla schiuma bianchiccia innalzatasi su più su verso il cielo, che tutte le piccole e grandi tartarughine erano state racchiuse e nella schiuma giravano e rigiravano su sé stesse mille e più volte. E quel cavallone così alto, anzi altissimo, era il più alto di tutti e le teneva così su da far venire le vertigini. E più camminava il cavallone e più s’ingrandiva e saliva e più le tartarughe volavano e giravano, era un turbine!
E corre, corre, corre il cavallone azzurrino e bianco e finalmente sta per arrivare e arriva ma anziché posarsi piano al suolo, ma no, cosa incontra il cavallone Azzurro? Ma, c’è un ostacolo acciderbolina acciderbosa, e tutte le tartarughe sulla cresta più alta fuum vengono immediatamente catapultate lontano, lontanissimo! Fuum che volo! “Mammina, mammina, stiamo volando wuaoo che bello, voliamo” fecero tutte in coro “uuuu, wuaoo che sballo mammolina” fece il fratellone più grande. E poi, “Oooo, oooo, ma, ma stiamo cadendo, ooo, ooo, puum c a d i a m o, splash” giù dentro una pozzanghera a terra, uuu che botto!! Ma niente spavento loro sono pur sempre delle tartarughe, no? Beh! Allora hanno la loro casetta che le protegge ben, bene.
Però erano tutte col mal di testa dopo aver tanto girato e rigirato ed erano tutte un po’ intontitelle. La mamma tartaruga si guardava intorno e non faceva che cercare contandole tutte le sue figliole e figlioli ma mica tanto le riusciva bene. Non ci vedeva quasi più. “Mammina t’aiuto io disse Verdina, la più piccolina delle altre,"non ti preoccupare”. E cominciò a contare e ricontare perché ogni tanto perdeva il conto e poi perché mica sapeva tanto bene contare. “E uno, due, tre, quattro, cinque, sette, dieci, ufff mammina cosa viene dopo il dieci ? Ah, sì, il quindici e poi si, quindici ma noi siamo in tutto trenta e poi mi manca di contare i cuginetti e le cuginette, dove saranno?” Ma ecco spuntare uno strano stranissimo essere. Verdina strizzò gli occhi e fece “Ohh!” Ma è un, ma come si chiamano, un …ma non può essere io non ti ho mai visto nei miei fondali marini dove abitavo con la mia famigliola, ma chi sei?" Portò le zampette al musetto tutta preoccupata e sgranò gli occhi.
Era un papavero parlante e lei di fiori ne capiva ben poco così, ad ogni parola che papavero le diceva lei voltava il viso, non voleva proprio ascoltare. “Ma, chi sei e cosa vuoi? Io non ti ho mai visto, anche tu come noi avevi la tua casetta in mare? Io ce l’avevo ed era bellissima e noi tutti eravamo felicissimi e la mamma ci preparava sempre delle cose buone da mangiare e ora non so nemmeno dove siamo! E ho una fame!! E poi la mia mammina piange disperata perché abbiamo perso il nostro adorato mare e non dirle niente ma io ho tanta paura e sono così triste” e due lagrimoni le scesero sulla bocca e lei li leccò, erano l’unica cosa salata che le restava non avendo più il suo mare salato a farla nuotare spensierata. E allora pianse ancora di più! “Guarda dove siamo andati a finire, in un’ acqua grigia e sporca ed è difficile pure respirare, come faremo? Poveri noi!” .
Il papavero si era seduto a terra e l’ascoltava attento con le mani conserte sotto il mento. Verdina cominciò allora a rilassarsi e a raccontare quello che era successo a lei e alla sua famiglia e le venne in mente di quando era il suo compleanno e tutti insieme le avevano fatto una mega festa e della musica che c’era e che tutti si misero a ballare: ancora più triste pianse a dirotto.
Papavero la guardava e s’interrogava: “Come posso mai aiutarla questa piccolina?” pensava e ripensava ma non trovava risposta. “Geniale!!” d’improvviso gli s’illuminò la corolla: “Ma , si, che sciocco, perché non ci ho pensato prima? Chiamò in radunata i suoi numerosi fratelli" con un fischio il gioco è fatto, tutti accorsero! “Cosa c’è?" fecero quelli in coro, “perché ci hai chiamati?" Che bello era già vederli, avevano donato una macchia di colore a quell’oscura acqua.
Verdina che era ritirata appoggiata ad un sasso triste e sconsolata si voltò al loro arrivo e rimase un po’ dubbiosa ma finalmente un sorriso inondò il suo bel musetto. Stropicciò gli occhietti tristi e …”cosa vedono i miei occhi? Dieci, quindici, venticinque cosi rossi?” come lei li chiamava “Ehi, di un po’, tu” fece al papavero maggiore “ma chi sono questi?” e loro nel vederla l’avevano accerchiata “ma cosa volete da me?” Su di lei erano puntati tutti gli occhietti di quei bei papaveri che all’unisono le porsero le mani e la presero con cautela e la fecero ballare. Lei non voleva ma alla fine non potè più resistere. Appena udì la musica le sue zampette non poterono più fermarsi. Sì, c’era della bella musica perché ognuno dei papaveri più piccoli si mise a suonare uno strumento.
Il flauto che faceva nascere delle note lievi e delicate e le Caracas che davano il ritmo e il violino nostalgico e antico e c’era pure il papavero canterino che intonava certi acuti meravigliosi tutti per lei, la tartarughina Verdina! Ma c’era anche il papavero ballerino e sì, venuto apposta per farla roteare senza più piangere. Lui le prese la mano e “Uno, due, tre, che bello! Mia bella verdina noi siam qui per te perché le piccole tartarughe non devono mai piangere ma essere sempre felici e sorridenti”. La piccolina potè dimenticare tutta la tristezza di prima e gioire in compagnia dei suoi nuovi amici di rosso colorati.
Tanto era felice che le sembrò di trovarsi di nuovo nel suo mare sterminato. Si risollevò e tornò dalla sua mammina poco più in là. “La, la, la, tartarughin noi siam e al nostro mar ritornerem.. mammina cara non essere più triste, vedrai ce la faremo." Verdina si avvicinò alla mammina e cominciò a darle dei bacetti. Allora mamma tartaruga disse: “Ma si, mio tesoro, ho un’idea! Prendiamoci tutte per la zampa, chiama i tuoi fratelli, avanti!" Allora presesi ognuno la zampina dell’altro “Avanti stelline mie, su, cantiamo la, la, la, tartarughin noi siam e al nostro mar ritornerem, su avanti anche tu Celestino su la,la,la, tartarughin noi siam e al nostro mar ritornerem…" E così tutti fecero, cantarono a squarcia gola anche i tartarughini più piccini e una dolce melodia ne uscì. Solo note si udivano, solo voci di tartarughe rimbombavano nell’opaca acqua torbida della pozzanghera. Ma il canto era così armonioso che arrivò fin su al cielo, fin su più su dei palazzoni e delle nuvolone.
Tutte le note erano trasportate dall’amico vento fin su “TARTARUGHIN NOI SIAM E AL NOSTRO MAR RITORNEREM”. Nessuno poteva evitare di sentire quel meraviglioso coro. Tutti, pure gli umani furono ridestati e meraviglia delle meraviglie, d’improvviso, la pozzanghera era stata accerchiata e tutti intorno si chiedevano chi fosse lì dentro a cantare. Perfino le automobili si fermarono e i clacson si misero a suonare al ritmo del bel canto delle tartarughine. E siccome si era nel mese di dicembre e gli uccellini che abitano i cieli si erano tutti riuniti pronti a partire per i lidi più caldi planando si sparsero il cinguettio che c’erano le loro sorelline tartarughine in difficoltà: “Cip, cip, cip le tartarughin han perso il loro mar! Su, su scendiam e tartarughine nel nostro becco prendiam così al mar le riportiam!”