Son chiacchiere di famiglia, attorno ad un tavolo che sa ancora di cena, con le briciole, i piatti sporchi e la tovaglia a quadri di tutti i giorni, mezza raccolta.
Ma non sono chiacchere qualsiasi o forse non sono nemmeno tali. Meglio definirle discussioni, che si vanno facendo da qualche giorno a questa parte. E da quel giorno in cui, precisamente, viene rivelata una delle verità più scottanti e disarmanti che un figlio voglia, a tempo debito o meno, dire al padre: io non voglio fare il tuo lavoro.
Ed è da quella sera che Pietro Guerra va mettendosi a letto con le gambe più pesanti del solito, la testa vuota e china, le mani che bruciano e il cuore spento. È da quella sera che vede le sue levate ancora più buie, che si sente le braccia molli ancora prime d’iniziare e il cervello di una trottola. Tutto questo per il motivo di quelle chiacchiere infinite: vuole fare il ciclista. Vuole fare.
Gli brucio la bicicletta… e gli nascondo gli scarpini… e non mangerà più in questa casa. Che tutto quello che ha lo deve a me, alle mie levatacce, asino che non è altro!
Si sa quanto l’ingratitudine non ami riposarsi, quasi quanto questo padre che non si capacita, non si dà una ragione, non smette di pensarci. E questa sarebbe la ricompensa, dopo avere visto sin troppe albe e nessun tramonto, dopo tanti sacrifici per i suoi figli, per la loro vita tranquilla? E a chi potrà consegnare le sue pagine di pesi e bilanciamenti, i suoi appunti minuziosi. A chi, le sue ricette segrete, se il suo unico figlio maschio vuole andare in bicicletta?
Sarà che di cognome fa Guerra, della premiata pasticceria Guerra; sarà che questa faccenda della bicicletta ha il sapore del burro rancido; sarà che… che non gliela farà vincere questa battaglia assurda. Il suo figliolo diventerà un pasticcere. Così come lui e come il di lui padre e come il di lui nonno!
Ed è tutto un affilare di armi, un approntamento di munizioni, che va sparando da un po’ di sere davanti alla minestra. A quel figlio, che non risponde, che se ne va in camera sua o peggio ancora a lustrare ruote. Come si fa a non pensarci!
Tra dilemmi, drammi e frasi pensate per poi nemmeno dirle, c’è la mamma. Che di “Guerra” se ne intende, al punto da dovere mettere pace. Sempre.
Poggia la mano morbida sulla guancia del marito, che ha la barba spinuta dei giorni inquieti e gli fa una carezza: ” Ti tocca di lasciarlo stare. Se l’hai fatto forte di gambe e non di braccia, ci sarà un perché. Mettiti tranquillo o qui si fa la guerra. Ti ricordi dello zio Gino, che correva nella squadra dei preti? Quante medaglie! Da qualcuno avrà pur preso…”
C’é il freddo umido che sale dal lago, quando quel giorno tutta la sua famiglia lo accompagna alla stazione. Learco ricorderà la sua mamma inconsolabile, il suo papà quasi fiero e le sorelle che si stringevano nel cappotto. E il pensiero di Milano che era vicina, ma che in quel momento gli sembrava così lontana.
Pietro Guerra vede il treno che arriva, e davanti la locomotiva. Si sistema il cappello e abbraccia forte suo figlio, lungo nel suo vestito della festa. Quello che non vuole fare paste e frittelle; che non pensa di fare la sua stessa vita. Poi guarda diritto verso la locomotiva, come se stesse puntando agli occhi di un mostro, non sapendo che di lì a poco la testa di quel mostro di ferro gli sarebbe diventata familiare.
“Vai figlio, fagli vedere a tutti che qui non si scherza. Io me ne torno a far chiacchiere”.
Learco Guerra fu un grande campione del ciclismo degli anni 30 e venne soprannominato “La locomotiva umana”, per la sua forza e la sua determinazione. Prima di diventare una stella del ciclismo faceva in realtà il muratore.
Il mio piccolo racconto è un adattamento libero e un falso storico, che trae ispirazione dalla ricetta delle lattughe o chiacchiere della sua famiglia e che Nadia Gnali ci ha gentilmente inviato dal suo blog: le ricettedinadiagnali-nadia.blogspot.com.
Chiacchiere della famiglia Guerra
Ingredienti: 500 gr. di farina 00, 3 uova intere, 50 gr di burro,75 gr di zucchero semolato,1 bustina di lievito vanigliato, 1 buona presa di sale,1 arancia spremuta, bicchierino di grappa o di vino bianco secco,olio di semi di arachidi per friggere
Occorrenti: ciotola, sfogliatrice a mano o elettrica
Tempo di preparazione: 40 minuti + riposo
Prepara la fontana con la farina, il lievito, lo zucchero, il sale, le uova leggermente battute e il burro ammorbidito. Con una forchetta inizia ad impastare e inserisci i liquidi (succo d’arancia e grappa) un po’ per volta. Amalgama e impasta fino a formare un impasto liscio. Passalo per una volta nella sfogliatrice per appiattirlo; poi mettilo in frigo a riposare per almeno un’ora coperto con pellicola.
Sfoglia al livello più sottile della sfogliatrice e forma dei rettangoli. Durante la sfogliatura piega più volte la pasta come se dovessi dare le pieghe tipiche della pasta sfoglia. Così facendo la pasta in cottura si gonfierà formando dei vuoti pieni di “croccantezza”. Taglia due volte l’interno dei triangoli, ma senza arrivare fino in fondo. Prima di friggere fai passare un vertice del triangolo nel taglio, e così fai anche con il vertice opposto. Friggi in olio a 176°C fino a leggera doratura. Scola la chiacchiere su carta da cucina, cambiandola più volte. Raffredda e cospargi di zucchero a velo. Si conservano anche per una settimana fragranti se ben chiuse in un sacchetto del pane.
Felice giornata!