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- Ci sono già stato oltre 25mila morti da quando il presidente Felipe Calderón ha dichiarato guerra al narcotraffico. E la violenza, invece di diminuire, aumenta. Cosa sta succedendo?
Il Governo ha politicizzato il fenomeno del narcotraffico. Lo ha politicizzato al dare priorità a un gruppo e, come conseguenza, gli altri gruppi hanno reagito violentemente. E in questa reazione, che è stata molto spietata, abbiamo potuto identificare nuovi stili di violenza come le decapitazioni di massa. Dà l'impressione che, più che uccidere i rivali, alcune bande mandino messaggi. Non ai rivali, ma allo Stato. E' una situazione nuova, perché si sono persi i vecchi codici. I narcos evitavano le aggressioni contro i bambini e le donna. Adesso non più. Il Governo ha creato un problema, ha liberato i demoni e adesso non sa come fermarli.
- Il presidente Calderón può vincere la guerra al narcotraffico?
Non la vincerà mai. Perché il profilo di questo Paese è lacerante. Il Messico è un Paese molto ferito, in cui, per esempio, la diserzione scolare a livello medio è molto alta. Stiamo parlando di 15 milioni di ragazzi in un Paese in cui circa 50 milioni di cittadini vivono in estrema povertà. E una delle soluzioni per questi ragazzi che non studiano né lavorano è la delinquenza. Una soluzione che molte volte non è neanche economica perché per le informazioni che ho io non ricevono neanche uno stipendio interessante. Si tratta più che altro di un'opzione di violenza, di ottenere il potere immediato, il potere che dà un AK-47 automatico nelle mani, 120 spari al minuto.
- Lei vive al nord, nello Stato di Sinaloa, dove la presenza del narcotraffico è stata sempre molto forte. Come percepisce la popolazione l'assedio dei boss della droga?
E' che la gente sente l'assedio dei militari. L'Esercito significa violenze, significa assassini. Nella mia terra la guerra è iniziata il giorno in cui i militari hanno ammazzato un'intera famiglia. E' potuto scappare solo il padre, che si buttò a correre quando si rese conto che non aveva altra scelta. Hanno ucciso i suoi figli e sua moglie. Lo accusavano di piantare droga, ma lui si è difeso: Sono agricoltore, non sono né narco né semino droga, provatelo. E ha fatto subito una denuncia, ma l'Esercito continua a comportarsi in modo folle. E a Ciudad Juárez succede lo stesso. Ho percorso le sue strade di notte e la gente ha più paura dei soldati che degli altri. Le strade si sono riempite di soldati e di armi di alta tecnologia, ma la violenza non è diminuita.
- Il Governo ha detto che se non avesse combattuto il narcotraffico, il prossimo presidente della Repubblica l'avrebbe scelto il crimine organizzato...
E' una posizione sbagliata. Ci sono voci secondo le quali i narcos hanno sempre avuto a che vedere con l'elezione del presidente. Che è da tanto che sceglie i presidenti. Da alcune campagne elettorali faccio sempre la stessa domanda ai leaders: "Sapete se state utilizzando denaro sporco? Avete qualche accordo con le bande?" E nessuno mi ha detto di sì, ma neanche di no. E nel caso dell'attuale presidente è stata la stessa cosa. Non mi hanno detto di sì, ma neanche di no.
- Come sta colpendo il Messico questa situazione di grande violenza?
Un Paese in cui tutti i giorni la gente vuole sapere quanti morti ci sono stati il giorno prima tende a diventare un Paese ombroso, che scommette sul terrore. E questo non bisogna permetterlo. Anche se ogni giorno, all'uscire di casa, pensiamo alla possibilità che ci uccidano. Però non possiamo lasciare le nostre strade né all'Esercito né ai sicari. Le città ci appartengono. Sono la mostra di cosa siamo. Altrimenti l'oscurità e l'ombra causano abbandono, indigenza... Non dobbiamo permetterlo, dobbiamo ritrovarci. Non possiamo vivere in un Paese che finirà con l'inghiottirci.
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