Le conseguenze della vittoria di Barack Obama su Mitt Romney
Ormai ci siamo. Fra poco più di 48 ore sapremo chi sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti.
Nella notte tra martedì e mercoledì conosceremo il nome di colui che, come avviene ogni 4 anni, il prossimo 20 gennaio pronuncerà il discorso di insediamento.
Da quel momento una nuova amministrazione presidenziale avrà inizio. Sarà ancora Barack Obama?
Se i sondaggi che lo vedono in vantaggio in tre swing states come Ohio, FIorida e Colorado sono corretti, sembrerebbe di si.
In questo caso, il giovane leader nero sarà il secondo presidente democratico ad essere riconfermato, dai tempi di Franklin Roosevelt.
Nella mitologia costituzionale americana essere rieletto per un secondo quadriennio può essere un buon viatico per entrare nel ridotto numero di presidenti in grado di segnare un’epoca.
Non è sempre stato così, ma quasi. Nel suo secondo mandato Obama avrebbe il tempo per consolidare la sua storica riforma sanitaria, potrebbe riprendere le fila di quella “green economy” che la Grande Recessione di questi anni ha messo in soffitta, ma soprattutto potrebbe utilizzare il suo rinnovato capitale politico per spenderlo a favore di una riforma delle norme sull’immigrazione che la minoranza ispanica attende da molti anni.
Inoltre, visti i segnali di ripresa dell’economia nazionale, confermati anche dai positivi dati sull’aumento dell’occupazione di venerdì scorso, Barack potrebbe anche avere l’opportunità di presiedere ad un nuovo impetuoso periodo di sviluppo economico, simile a quello di cui beneficiò Bill Clinton nella prima metà degli anni ’90.
Tale esito potrebbe contribuire ad accrescere non poco la sua statura presidenziale e di conseguenza il suo ranking all’interno di quella speciale classifica dei presidenti più influenti della storia.
In politica estera poi potrebbe essere proprio lui a ricondurre a casa dall’Afghanistan l’ultimo soldato americano e potrebbe anche tornare ad occuparsi con rinnovato impegno di quell’eterna sciarada che ogni presidente americano ha dovuto affrontare sin dai tempi di Harry Truman nel 1948, la questione israelo- palestinese.
Avrà ancora a che fare con un premier come Benjamin "Bibi" Netanyahu con cui non ha grande feeling e soprattutto dovrà evitare di cadere nella trappola tesagli dal primo ministro con l’aut aut sul nucleare iraniano.
Non è escluso che se fosse rieletto, Obama potrebbe avere la forza diplomatica per avviare quel dialogo diretto con i nemici che aveva più volte rivendicato come possibile strategia di politica estera, durante la stagione delle primarie democratiche contro Hillary Clinton nel 2008.
Del resto, le recenti rivelazioni del New York Times di un possibile canale di dialogo sul nucleare tra Washington e Teheran dopo il 6 novembre sembrano confermare un simile corso d’azione.
Poi, a partire dalla campagna per le elezioni di metà mandato del novembre 2014, Obama potrebbe iniziare a pensare a come consolidare la sua legacy, la sua eredità politica.
Ogni presidente con doppio mandato l’ha fatto. Bill Clinton si inventò il “bridge to the 21st Century”, il suo governo come possibile ponte verso il passaggio degli Stati Uniti e del mondo verso il 21^ secolo.
George W. Bush ha avviato una meritoria e intensa campagna a favore della lotta all’Aids in Africa. Obama non sarà da meno.
Forse potrebbe partire dalla sua caratteristica di primo presidente afro-americano, erede diretto delle lotte di Martin Luther King, per lasciare un segno duraturo della sua azione politica tramite la già ricordata riforma sull’immigrazione.
Potrebbe riuscire a indurre il Congresso a far passare nuove norme sull’acquisizione della cittadinanza americana a quei figli di immigrati che hanno studiato in America, hanno combattuto per gli Usa, ma che sono ancora privi di un pezzo di carta che attesti la loro appartenenza alla comunità statunitense.
Infine potrebbe far approvare leggi per regolarizzare quegli undici milioni di immigrati soprattutto latinos che ancora oggi vivono negli States da clandestini.
Non solo, poichè all'interno della Corte Suprema, nei prossimi due anni potrebbero liberarsi da uno a due posti di giudici giunti alla fine della loro carriera per limiti di età, Obama potrebbe avere l'opportunità di nominare altri giudici alla massima magistratura americana.
Dopo le sue precedenti nomine di Sonia Sotomayor e Elena Kagan, Obama potrebbe accrescere il numero di giudici progressisti all'interno della Corte, segnando per decenni le pronunce giurisprudenziali della Corte.
A questo punto qualcuno potrebbe però dire che se Obama riuscisse a fare tutto quanto detto finora nel corso di un secondo mandato sarebbe comunque sempre una parte infinitesimale di quello che ci si poteva aspettare da lui quando, nella notte del 4 novembre 2008, si presentò trionfante di fronte ai suoi sostenitori al Grant Park di Chicago.
E’ vero, ma non dobbiamo dimenticarci che all’epoca tutti noi caricammo di troppe aspettative il giovane leader nero.
Nel suo primo quadriennio è riuscito comunque a compiere cose mirabili come la storica riforma sanitaria, per non parlare di quanto sia riuscito a rendere di nuovo presentabile e apprezzabile nel mondo l’immagine americana, dopo gli abissi di odio in cui era caduta dopo gli anni della guerra infinita di George W. Bush.
E poi, le grandi azioni non sono sempre immediatamente visibili: possono essere il risultato di tante piccole scelte che unite insieme creano un mosaico di nuove direzioni e indirizzi. Proprio quello che Obama potrebbe tentare di fare nei prossimi quattro anni.
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