In questa prima lettera del presidente di CL viene accusato il cardinal Martini di essere la causa di tutti i problemi della Chiesa ambrosiana. Mentre nella seconda, lo stesso don Carròn, solamente un anno dopo, ne elogia l'operato. Le parole hanno ancora valore?
PRIMA LETTERA
Lettera del Presidente di Comunione e Liberazione don Juliàn Carròn
al Nunzio apostolico in Italia Giuseppe Bertello
del marzo 2011
Eccellenza Reverendissima,
rispondo alla Sua richiesta permettendomi di offrirLe in tutta franchezza e confidenza, ben consapevole della responsabilità che mi assumo di fronte a Dio e al Santo Padre, alcune considerazioni sullo stato della Chiesa ambrosiana.
1) Il primo dato di rilievo è la crisi profonda della fede del popolo di Dio, in particolare di quella tradizione ambrosiana caratterizzata sempre da una profonda unità tra fede e vita e dall’annuncio di Cristo “tutto per noi” (S. Ambrogio) come presenza e risposta ragionevole al dramma dell’esistenza umana. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una rottura di questa tradizione, accettando di diritto e promuovendo di fatto la frattura caratteristica della modernità tra sapere e credere, a scapito della organicità dell’esperienza cristiana, ridotta a intimismo e moralismo.
2) Perdura la grave crisi delle vocazioni, affrontata in modo quasi esclusivamente organizzativo. La nascita delle unità pastorali ha prodotto tanto sconcerto e sofferenza in vasta parte del clero e grave disorientamento nei fedeli, che mal si raccapezzano di fronte alla pluralità di figure sacerdotali di riferimento.
3) Il disorientamento nei fedeli è aggravato dalla introduzione del nuovo Lezionario, guidato da criteri alquanto discutibili e astrusi, che di fatto rende molto difficile un cammino educativo coerente della Liturgia, contribuendo a spezzare l’irrinunciabile unità tra liturgia e fede (lex orandi, lex credendi). E già si parla della riforma del Messale, uno dei beni più preziosi della Liturgia ambrosiana…
4) L’insegnamento teologico per i futuri chierici e per i laici, sia pur con lodevoli eccezioni, si discosta in molti punti dalla Tradizione e dal Magistero, soprattutto nelle scienze bibliche e nella teologia sistematica. Viene spesso teorizzata una sorta di “magistero alternativo” a Roma e al Santo Padre, che rischia di diventare ormai una caratteristica consolidata della “ambrosianità” contemporanea.
5) La presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono sempre considerati più come un problema che come una risorsa. Prevale ancora una lettura sociologica, stile anni ’70, come fossero una “chiesa parallela”, nonostante i loro membri forniscano, per fare solo un esempio, centinaia e centinaia di catechisti, sostituendosi in molte parrocchie alle forze esauste dell’Azione Cattolica. Molte volte le numerose opere educative, sociali, caritative che nascono per responsabilità dei laici vengono guardate con sospetto e bollate come “affarismo”, anche se non mancano iniziali valorizzazioni di quelli che sono nuovi tentativi di realizzazione pratica dei principi di solidarietà e di sussidiarietà e che si inseriscono nella secolare tradizione di operosità del cattolicesimo ambrosiano.
6) Dal punto di vista della presenza civile della Chiesa non si può non rilevare una certa unilateralità di interventi sulla giustizia sociale, a scapito di altri temi fondamentali della Dottrina sociale, e un certo sottile ma sistematico “neocollateralismo”, soprattutto della Curia, verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica, anche con altissime responsabilità nel governo locale, in altri schieramenti. Questa unilateralità di fatto, anche se ben dissimulata dietro a una teorica (e in sé doverosa) “apoliticità”, finisce per rendere poco incisivo il contributo educativo della Chiesa ai bene comune, all’unità del popolo e alla convivenza pacifica, fatto ancora più grave in una città, in una Regione (la Lombardia) e in una parte d’Italia (il Nord) in cui più forti sono le spinte isolazioniste e ormai drammatici e quotidiani i conflitti tra poteri dello Stato.
7) Per quanto riguarda la presenza nel mondo della cultura, così importante per una città come Milano, va rilevato che un malinteso senso del dialogo spesso si risolve in una autoriduzione della originalità del cristianesimo, o sconfina in posizioni relativistiche o problematicistiche che, senza rappresentare un reale contributo di novità nel dibattito pubblico, finiscono col deprimere un confronto reale con altre concezioni e confermare una sostanziale Irrilevanza di giudizio della Chiesa rispetto alla mentalità dominante.
Né va trascurata la peculiarità della presenza a Milano dell’Università Cattolica che, nonostante il prodigarsi ammirevole dell’attuale Rettore e dell’Assistente Ecclesiastico, attraversa una crisi di identità cosi grave da fare temere in tempi brevi un sostanziale e irreversibile distacco dalla impostazione originale. Nel rispetto delle prerogative della Santa Sede e della Conferenza Episcopale, non appare irrilevante il contributo che un nuovo Presule, per la sua preparazione e sensibilità, potrebbe offrire a favore di una più precisa linea culturale e educativa dell’Ateneo di tutti i cattolici italiani.
Mi permetto infine di rilevare, per tutte queste ragioni, pur sommariamente delineate, l’esigenza e l’urgenza di una scelta di discontinuità significativa rispetto alla impostazione degli ultimi trent’anni, considerato il peso e l’influenza che l’Arcidiocesi di Milano ha in tutta la Lombardia, in Italia e nel mondo.
Attendiamo un Pastore che sappia rinsaldare i legami con Roma e con Pietro, annunciare con coraggio e fascino esistenziale la gioia di essere cristiani, essere Pastore di tutto il gregge e non di una parte soltanto. Occorre una personalità con profondità spirituale, ferma e cristallina fede, grande prudenza e carità, e con una preparazione culturale in grado di dialogare efficacemente con la varietà delle componenti ecclesiali e civili, fermo sull’essenziale e coraggioso e aperto di fronte alle numerose sfide della postmodernità.
Per la gravità della situazione non mi sembra che si possa puntare su di una personalità di secondo piano o su di un cosiddetto “outsider”, che inevitabilmente finirebbe, per inesperienza, soffocato nei meccanismi consolidati della Curia locale. Occorre una personalità di grande profilo di fede, di esperienza umana e di governo, in grado di inaugurare realmente e decisamente un nuovo corso.
Per queste ragioni l’unica candidatura che mi sento in coscienza di presentare all’attenzione del Santo Padre è quella dell’attuale Patriarca di Venezia, Card. Angelo SCOLA.
Tengo a precisare che con questa indicazione non intendo privilegiare il legame di amicizia e la vicinanza del Patriarca al movimento di Comunione e Liberazione, ma sottolineare il profilo di una personalità di grande prestigio e esperienza che, in situazioni di governo assai delicate, ha mostrato fermezza e chiarezza di fede, energia nell’azione pastorale, grande apertura alla società civile e soprattutto uno sguardo veramente paterno e valorizzatore di tutte le componenti e di tutte le esperienze ecclesiali. Inoltre l’età relativamente avanzata (70 anni nel 2011) del Patriarca rappresenta nella situazione attuale non un “handicap”, ma un vantaggio: potrà agire per alcuni anni con grande libertà, aprendo così nuove strade che altri proseguiranno.
Colgo l’occasione per salutarLa con profonda stima.
don Juliàn Carrón Presidente
SECONDA LETTERA
Nel suo cuore di pastore c'è sempre stato spazio per noi
di Julián Carrón*
Caro Direttore,
la morte del cardinale Martini mi consente di riflettere su alcune parole‐chiave della sua vita e sul rapporto con don Giussani e col movimento di Comunione e Liberazione. La mia vuole essere una semplice testimonianza.
Ecumenismo. La sua capacità di entrare in rapporto con tutti testimonia la tensione del cardinale a intercettare ogni briciolo di verità che si trova in chiunque incontriamo. Chi ha incontrato Cristo non può non avere questa passione ecumenica. Mi ha colpito come il cardinale rispondeva a chi gli domandava quale considerava il momento culminante della vita di Gesù (il discorso della montagna o l’ultima cena o la preghiera nell’orto degli ulivi): «No. Il momento culminante è la Resurrezione, quando scoperchia il suo sepolcro e appare a Maria e a Maddalena». È la certezza che introduce la resurrezione di Cristo che spalanca lo sguardo del cristiano. L’antico termine oikumene sottolinea che lo sguardo cristiano vibra di un impeto che lo rende capace di esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra, come ricordava don Giussani: «L’ecumenismo non è allora una tolleranza generica, ma è un amore alla verità che è presente, fosse anche per un frammento, in chiunque. Nulla è escluso di questo sguardo positivo. Se c’è un millesimo di verità in una cosa, lo affermo». Solo una tensione così può generare una vera pace fra gli uomini, anche questa una preoccupazione costante del cardinale Martini.
Carità come condivisione dei bisogni. Noi dobbiamo fare tesoro di questo desiderio di intercettare il bisogno degli uomini che l’Arcivescovo incontrava lungo il cammino della vita. La Chiesa non può essere mai indifferente alle domande e ai bisogni degli uomini. Queste domande, che sono le nostre, sono una sfida per noi credenti, perché solo così ci rendiamo conto se abbiamo qualcosa nella nostra esperienza da comunicare a chi ci chiede ragione della nostra speranza. Questo è il vantaggio del tempo presente per noi credenti: non è sufficiente la ripetizione formale delle verità della fede, come ci ricorda continuamente Benedetto XVI. Gli uomini attendono da noi la comunicazione della nostra esperienza, non un discorso astratto, sia pure corretto e pulito. Come ci richiamò Paolo VI: la nostra epoca ha bisogno di testimoni, più che di maestri. Solo il testimone può essere maestro. Sono sicuro che il cardinale Martini, dal Cielo, ci accompagnerà a condividere i bisogni degli uomini e a trovare strade per risponderne che siano all’altezza delle loro domande. Quanto al rapporto con CL, don Giussani ci parlava sempre della paternità del cardinale Martini, che aveva abbracciato e accettato nella diocesi di Milano una realtà come CL. Nel suo cuore di
pastore sempre c’è stato spazio per noi. Ricordo la gratitudine di don Giussani quando l’Arcivescovo gli concesse di aprire una cappella in uno dei locali della sede centrale del movimento a Milano, così da avere il Signore presente sempre.
E come l’arcivescovo Montini, che inizialmente confessava di non capire il metodo di don Giussani ma ne vedeva i frutti, anche il cardinale Martini ci incoraggiava ad andare avanti. Mi commuovono ancora le parole che rivolse a don Giussani nel 1995, durante un incontro di sacerdoti, quando ringraziò «il Signore che ha dato a monsignor Giussani questo dono di riesprimere continuamente il nucleo del cristianesimo. “Ecco, tu, ogni volta che parli, ritorni sempre a questo nucleo, che è l’Incarnazione, e ‐ con mille modi diversi ‐ lo riproponi”».
Per questo ci rincresce e ci addolora se non abbiamo trovato sempre il modo più adeguato di collaborare alla sua ardua missione e se possiamo aver dato pretesto per interpretazioni equivoche del nostro rapporto con lui, a cominciare da me stesso. Un rapporto che non è mai venuto meno all’obbedienza al Vescovo a qualunque costo, come ci ha sempre testimoniato don Giussani. Sono sicuro che, insieme a don Giussani, ci accompagnerà dal Cielo a diventare sempre di più quello per cui lo Spirito ha suscitato proprio nella Chiesa ambrosiana un carisma come quello di CL. La morte del cardinale Martini e di don Giussani costituiscono un richiamo per tutti noi che, nella varietà di sensibilità, abbiamo a cuore la Chiesa ambrosiana. Mi auguro che non ci stanchiamo mai di cercare quella collaborazione che è indispensabile ‐ soprattutto oggi ‐ per la missione della Chiesa, così come ne parlava il Cardinale nel 1991: «La “novità” della cosiddetta “nuova evangelizzazione” non va cercata in nuove tecniche di annuncio, ma innanzitutto nel ritrovato entusiasmo di sentirsi credenti e nella fiducia dell’azione dello Spirito Santo», così da «evangelizzare per contagio… da persona a persona».
Milano, 3 settembre 2012
*presidente della Fraternità di CL
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