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Le correzioni

Da Marcofre

Un po’ in ritardo, ho capito per quale ragione si dica “riscrittura”. Perché è un termine “bello”, ma quello giusto sarebbe “correzione”, e questo invece è brutto. Fa sembrare chi pratica questo processo, un incapace.

Invece riscrittura è più dolce.

Tutte sciocchezze. Occorre dire le cose come stanno: correzione, e basta.

Il vantaggio nell’usare questo termine risiede nel fatto che contiene una buona dose di fatica. Un sacco di persone immagina che la scrittura sia una delizia, oppure una cosa semplice semplice. Ti siedi, pesti i tasti e ottieni dei risultati.

La faccenda non funziona affatto così.

La correzione per alcuni è una perdita di tempo, oltre che una chiara dimostrazione di incapacità. Quindi ne stanno alla larga, e da costoro di solito stanno alla larga buona parte dei lettori.

Di sicuro richiede tempo, attenzione e fatica. Tutti aspetti che fanno a pugni con l’idea di facilità che la scrittura ha agli occhi di molti. Quello che si fatica a comprendere è che la correzione non è un eliminare, o meglio: non è solo questo. Si tratta di un processo che interviene per salvare il testo. Per dargli energia e vita. Quello che si scrive di getto, non è altro che un abbozzo, è nella correzione che si comincia a dargli una forma e una direzione.

La correzione permette non solo di eliminare refusi, errori oppure ripetizioni. O di lavorare sulla punteggiatura.

È anche un’occasione per dare all’abbozzo uno sviluppo inatteso. A mente fredda, si torna a rileggere e ci si rende conto che è possibile modificare qualcosa, si apre forse un varco e attraverso di esso, la storia si sposta su piani inattesi.

I piani inattesi: sono evitati, e con essi la correzione, perché chi scrive ha altri piani. È guidato dall’idea della scrittura come mezzo per ottenere qualcosa, e quando nella sua mente si palesa qualcosa che richiede uno sforzo, lascia perdere. Non è che smetta di scrivere.

Non si incammina sul nuovo sentiero.

Se la sciatteria ammazza la scrittura, la pigrizia ammazza e basta.


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