Metto subito le mani avanti anche politicamente. Nonostante non abbia mai guardato con troppo livore gli esperimenti politici berlusconici, ora come ora non ho dubbio alcuno che sia arrivato il momento di cambiare “aria” e di lasciare che Mario Monti continui a fare il suo lavoro per qualche tempo ancora. Detto questo, proprio perché il berlusconismo è cosa andata e si propone oggidì solamente quale ologramma mediatico in virtù dell’accanimento terapeutico deciso dal suo fondatore, ripercorrendo in questo l’odissea che è stata pure dei suoi capelli (sì, parlo proprio di quelli che aveva in testa in epoca antichissima!), credo che si possa guardare ai tratti marcanti il “tocco-femmineo” della sua avventura politica con una data serenità.
Naturalmente quanto parlo di tocco-femmineo non faccio riferimento alla passione di Silvio Berlusconi per il bunga-bunga, alle avventure più o meno galanti, a quelle matrimoniali e private, ai vari Rubygate esoticamenti conditi con improbabili nipoti di Mubarak o finanche di Ramsses II il Grande che in quanto a donne, a progeniture multiple e a faccende di questo tipo – duole dirlo (del resto, anche codeste particolari attività possono essere – immagino –motivo di vanto e d’orgoglio per chi vi si dedica!), ha sempre surclassato di tanto il nostro Cavaliere e continuerà a farlo per lungo tempo ancora; quando parlo di tocco-femmineo faccio invece riferimento alle tante donne che colui (non Ramsses!) ha chiamato a fare Politica in tempi molto recenti e alle quali, così facendo, ha modellato la vita.
Rispetto a questo punto – muovendo magari controcorrente rispetto al general-mood di una data tipologia di establishment “impegnato” – io penso infatti che Berlusconi sia stato davvero il pigmalione (quanto nobile non saprei!), di una nuova figura di donna italiana che fa politica. Nello specifico, il termine va inteso proprio nella sua accezione generale, ovvero di scopritore e valorizzatore delle doti di un essere di sesso femminile. Credo anche che nel fare questo il Cavaliere si sia comportato non tanto come l’ovidico scultore impegnato a costruirsi un ideale di donna di cui poi si innamorerà, quanto piuttosto come un mitico professor Higgins (vedi l’immortale “My Fair Lady” di George Cukor – 1964), determinato a trasformare la fioraia Eliza Doolittle in una donna di mondo entro la legislat….pardon, entro un tempo relativamente ridotto.
Ma che c’entra tutto questo col femminismo? A mio avviso c’entra! C’entra perché io sono anche convinta che le “donne del Cav”, e in particolare l’aennina Giorgia Meloni (già Ministro della Gioventù), la pidiellica Michela Vittoria Brambilla (già Ministro del Turismo) e la forzista Mariastella Gelmini (già Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), non se la siano cavate troppo male durante il periodo in cui hanno svolto quei loro incarichi. E neppure dopo. Di sicuro non se la sono cavata troppo male rispetto all’operato di molti loro colleghi uomini e non se la sono cavata troppo male rispetto al fatto che – a parte il Santo Berlusconi, che tanto può ma non tutto – altri Santi-Protettori in Paradiso non ne avevano. Ce li avevano, invece, diverse donne-politiche italiche del passato (anche se sfortunatamente le donne italiane che hanno fatto politica di primo piano si possono contare sulle dita di una mano!), certamente più “considerate” dalla casta-intellettuale ma che se si andasse a vedere le carte si scoprirebbero anche quelle figlie di un qualche andato pigmalione (soprattutto a sinistra) molto, molto potente.
Assodato dunque che fino ad oggi il fare-politica-al-femminile non è mai stato un risultato conseguito dalle donne dopo una netta vittoria sul campo (pensiamo per esempio al disastro procurato dall’infausta campagna “Se non ora quando…”, ovvero a quel momento in cui le più nobili ragioni del femminismo furono assoggettate alla mira politica e strumentalizzate per un fine ideologico come non si vedeva dai tempi del martirio di Ipazia), ma che è stata piuttosto concessione dell’elemento maschile dominante, non è azzardato dire che la modalità diversa di proporsi delle tre signore già citate (ma pure di qualche altra), anche rispetto alla variegata natura dei loro interessi (vedi animalismo, formazione giovanile, etc), sia stato l’unico “vero” tocco “femminista” sul nostro sacro suolo dagli anni ’70 in poi. Dico “vero” proprio in quanto mai figlio di un padre o di una madre “nobili”, mai ratificato e schiavizzato dal pensiero omologato e omologante dell’establishment intellettuale e proprio per questo effettivamente libero e a suo modo ribelle. Ma in che modo si sarebbe manifestato questo inconsueto tratto femminista, se mai c’è stato? In molti modi. Non ultimo nel suo essersi appunto proposto come una sorta di tocco-paria da un punto di vista politico e ideologico, e come una sorta di tocco-taboo da un punto di vista “morale”; dulcis in fundo nel suo essere riuscito a sopravvivere mettendo a miglior uso una modalità di “lotta” che Sun Tzu avrebbe approvato fortemente, ovvero adeguando il proprio modello vincente al modello vittorioso di riferimento e sfruttando quest’ultimo per il proprio fine. Questa caratteristica, infatti, il grande generale e filosofo cinese la chiamava genialità.
Il tutto nell’attesa di una rinnovata presa di coscienza della lora forza e delle qualità della loro essenza da parte delle donne italiane e nell’attesa dell’unica campagna femminista che mi sentirei di sponsorizzare con una data convinzione: “Se non ora… quando mi pare!”.
Featured image Étienne Maurice Falconet: Pygmalion et Galatée (1763).
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