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Le donne in William Wyler

Creato il 20 maggio 2012 da Theartship

Giuditta Naselli. William Wyler mette al servizio del cinema la sua cultura di emigrato europeo e analizza, con occhio scevro da compromessi, la società americana e i suoi precetti.

Fondamentale diventa nei suoi film il lavoro attoriale, che esprime al massimo grado la profondità dei personaggi e il loro canto di protesta, come accade alle protagoniste di Piccolevolpi (Little Foxes, 1941), de L’ereditiera (The Heiress, 1949) e de Gli occhiche non sorrisero (Carrie 1952). Il regista, concentrandosi sulle ambiguità del ruolo svolto dalla donna nella storia sociale americana, mostra come il concetto di libertà sia tanto molteplice e controverso quanto l’America stessa. Mentre, infatti, da un lato la libertà costituisce l’essenza del nazionalismo statunitense, dall’altro la società americana, sin dai coloni, si fonda sull’obbedienza all’autorità. La sperequazione, che è stata essenziale per istituire l’ordine sociale delle colonie e che sembra essere stata demolita durante la rivoluzione americana, in realtà continua a sopravvivere nelle menti e negli occhi della gente.

Wyler predilige le storie psicologiche a sfondo sociale, attingendo dal teatro (PiccoleVolpi è tratto dal testo teatrale di Lillian Hellman) e dalla letteratura (Gli occhi che non sorrisero è tratto da NostraSorellaCarrie, il romanzo di Theodore Dreiser e L’ereditiera da Piazza Washington di Henry James), dimostrando di possedere un gusto austero e teatrale della messa in scena, che viene privata di qualsiasi tipo di ricercatezza formale, attraverso una riduzione ai minimi termini della scena e uno sfruttamento totale dell’iter emozionale degli attori. In Piccole Volpi, ad esempio, la tensione drammatica è ottenuta attraverso la quasi totale fissità della macchina da presa, che diventa personaggio attivo, interagendo con l’ambiente circostante. Il regista ripudia gli artifici, sovvertendo quelle peculiarità che erano alla base della cultura americana e restituisce un cinema che è sincero, genuino, autentico, non alterato da espedienti che debbano irretire il pubblico

Il suo cinema è classico nell’accezione formativa del termine, nell’essere un modello esemplare, nell’aver l’alto valore di esperienza artistica che rappresenta e racconta la storia di un Paese. Wyler denuncia il processo di reificazione che ha travolto l’uomo americano sin dagli inizi del Novecento, sottolineando come l’esperienza pioneristica e il conseguente confronto con una natura aspra e selvaggia abbia irrigidito il cuore di una popolazione, che ha pagato a caro prezzo il tentativo di una nuova esistenza. Gli uomini vengono mostrati nella loro spietatezza e iniquità, come totalmente asserviti a se stessi e incapaci di amare. Così anche le donne: come Regina, in Piccole volpi, disposta a tutto per riscattare la propria posizione sociale e per ottenere una parvenza di emancipazione economica dall’uomo, che sia il marito, o il fratello, o il padre, e come Catherine, ne L’ereditiera, che indurita dalla mancanza d’amore, non riesce a perdonare il padre e a condonargli la disaffezione a cui l’ ha costretta e come Carrie, figura ambigua e problematica che, ne Gli occhi che non sorrisero, abbandona il paese di provenienza per andare a vivere nei sobborghi di Chicago in cerca di un’occasione. Il regista sonda l’universo femminile, mostrando come, anche nel Novecento, siano poche le vie che una donna ha per raggiungere un certo grado di libertà. Alle donne compete unicamente la casa, unico habitat, unico luogo di confessione, che è al contempo prigione e fortezza di se stesse, sede di quelle forze oscure che la giungla dei sentimenti ha scatenato. Regina e Catherine trovano motivo di esistere solo all’interno delle quattro mura, tanto che, anche lo spettatore, inconsciamente, si trova destabilizzato di fronte a delle scene che mostrano le protagoniste al di fuori del loro spazio domestico. Soltanto Carrie, nel corso del film, acquista una facoltà di movimento nello spazio, di pari passo all’acquisizione di una propria emancipazione, dettata dalla volontà di riscatto.

Il regista contribuisce a risvegliare le coscienze del popolo americano mostrando la forza di quella individualità democratica che Emerson, Whitman e Thoreau avevano tanto sostenuto, e condivide con loro il fine artistico e umano di: “lasciare che ciascuno viva secondo il proprio autonomo giudizio e il libero e volontario confronto ideale con gli altri e abbia l’opportunità di attuare o cercare di attuare i propri fini, di non essere costretto a tradire se stesso1”.

1 Nadia Urbinati, Individualismo democratico, Roma, Donzelli, 1997, p.7.


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