Esistono due Afriche.
Quella vecchia, in cui il nero era una specie di sacrestano degli inglesi o dei francesi o dei portoghesi o degli italiani, la cui principale occupazione era quella di tenere semmai le candele ben accese per i parties dei padroni bianchi,servire gin o champagne a tutti coloro, uomini e donne, che per noia si ubriacavano ripetutamente nelle interminabili e fascinose notti africane.
In questa vecchia Africa chi menava il mestolo non c’è dubbio che era senz’altro il bianco, che non sapeva esattamente cosa fare del nero, all’infuori forse d’impiegarlo come boy di casa a lavare i piatti, accomodare i fiori in giardino o lavorare nelle miniere per il profitto delle grandi compagnie di cui magari era azionista.
Fortunatamente quest’Africa è ormai morta quasi dappertutto.
E non molto tardi sarà certamente solo un ricordo per le giovani generazioni africane. Un ricordo che emergerà solo dalle pagine dei libri di scuola o dai racconti degli anziani.
E poi c’è l’Africa dell’uhuru,una parola entrata nel linguaggio internazionale, che significa libertà.
L’Africa dell’uhuru è nata anemica perché parte del suo sangue se lo sono succhiato con avidità, a suo tempo, i colonialisti.
Ma, grazie al cielo, è nata viva e continua a crescere in buona salute.
Questa è la “nostra” Africa.
L’Africa che mi ha fatto conoscere attraverso i suoi scritti( romanzi, poesie, saggi, articoli) una persona molto”speciale”.
E poi , nella concretezza dei fatti, attraverso le informazioni sulla”Mandera Boys Town” un’opera sociale per i giovani e i giovanissimi di grandissima importanza per il suo tempo, in un territorio difficile del nord-est del Kenya, confinante con l’Etiopia di Menghistu e la Somalia di Siad Barre
Parlo di John Bonzanino, un biellese, un po’meticcio per le sue origini anche pugliesi, che avrebbe voluto nascere in Africa e che già negli anni del ginnasio, ragazzetto, aveva deciso per se stesso due cose importanti : farsi missionario e andare in Africa.
Del Kenya, dove p.John, instancabile, trascorse vent’anni della sua vita e riposano ,oggi , le sue spoglie mortali, così scriveva nelle pagine del suo diario: “Vent’anni di vita respiro in dilagare di ricordi terra di Kenya./ Di te, mia Africa, fitte mantengo memorie./E quando sgomento mi prende io naufrago in esse.”.
Un amore, per l’Africa e per il Kenya, che per lui è stato sfida costante di ogni attimo dell’esistere perché, appunto, appassionatamente testardo in nome della giustizia.
Quella stessa giustizia poi che Giuseppe Allamano,fondatore dei Missionari della Consolata agli inizi del ‘900, aveva inculcato rigorosamente a tutti i suoi in Torino e da Torino, nelle lettere circolari, quando ricordava loro nelle più disparate occasioni che, nell’approccio con gli africani, era fondamentale, sempre e comunque, farli prima uomini e poi “santi”.
Ossia l’importanza di un’onesta formazione.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
L'immagine in alto, a corredo del testo, è l'opera dal titolo "black over white" dell'artista spagnolo Joseph Segui Rico