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Le elezioni “verosimili”

Creato il 19 febbraio 2013 da Albertocapece

620x463xl43-beppe-grillo-piazza-130218132609_big.jpg.pagespeed.ic.-Ek_WiZ2vYMariaserena Peterlin per il Simplicissimus

Gira in rete l’affermazione documentata, ma vai a capire cosa attualmente si possa davvero considerare documento e dunque verità, che le foto della piazza di Milano, che domenica si sapeva gremita da ultras bersaniani del Pd, fosse invece abbastanza spelacchiata di presenze.

È vero o non è vero? Interrogativo, tutto sommato, laterale: se non si è più in molti a considerare attendibili tutte le news, sono comunque sempre troppi quelli che abboccano a prescindere dal vero e dal verosimile.
Prendiamo, ad esempio e solo per citarla, la logora questione dei sondaggi e del conseguente falso sillogismo sull’inutilità del voto per formazioni o partiti considerati minori. A riguardo una constatazione verosimile è che i dati proposti ai telespettatori sono usati, ma non messi in discussione. Un’altra verosimiglianza possiamo dedurla confrontando il passato, che oggi si evita diligentemente di tramandare alle nuove generazioni, col presente. Si è votato per decenni senza sondaggi; e nessuno potrebbe dimostrare oggi che fosse un male o un distorcere la volontà popolare. Ad esempio cosa sarebbe successo, se ci fossero stati i sondaggi, nel referendum storico, Monarchia-Repubblica, in bilico fino all’ultimo voto e fortemente discusso? Nel lessico famigliare tipico di casa si raccontava che le pressioni erano state fortissime anche se interpersonali; e che alle pressioni filo monarchiche si rispondeva “i savoiardi io li mangio nel caffèlatte“; tuttavia i Savoia rischiarono di rimanere. La frase, un po’ lisa dall’abuso fattone in passato, oggi si potrebbe adattare, perché no, rivolgendola alle orde di lombardo–piemontesi ricchi di pesante sussiego, di leghisti, di maxiregionalisti, di arcoriani e affini: mangiamoceli col cappuccino. Berlusca ha rispolverato addirittura il “ci fa un baffo”: pesantuccio.

In realtà, e a proposito di linguaggio, la propaganda elettorale martella solo chi se ne lascia martellare, ma probabilmente con un po’ di attenzione potremmo guardare in controluce i lessici più levigati e dimostrarne la violenza, così come potremmo scartavetrare quelli più baldanzosi e plebei per metterne in luce la vocazione ad essere petardi: tutto fumo e botti.

Un paio di esempi minini: se Monti dicesse “non sono troppo affezionato al mio cane” c’è da credere che intenderebbe “ho già venduto quel botolo peloso e puzzolente al ristorante cinese dove va a cena mia suocera”.

E quando Grillo sbraita “facce da c. mandiamoli a casa” probabilmente ipotizza un “aggiungi posti alla Camera”. Ma se anche non fosse e dovessimo intendere tutto alla lettera cosa ci dovrebbe preoccupare di più: la paura dell’ingovernabilità o confermare chi ci ha reso ingovernabili?
Un voto è anche un segnale personale e da usare bene.  Se non si fosse presa una decisione definitiva sarebbe bello, dolce e, perché no, utile sapere che votare per la trimurti Berlusconi o Bersani o Monti significa condividere il “loro” concetto di utilità.  Chi non lo condivida può dunque stare sereno e considerare, in tutta tranquillità, che varrebbe comunque la pena di essere, eventualmente, in minoranza, ma per una causa migliore, più giusta e più onesta della loro.

 


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