Quando leggo il programma fibrillo un attimo, la sorpresa triangolata tra i miei, Monica e l’Anonima è meravigliosa, ma cerco di non lasciarmi trascinare, diviso tra adrenalina e consapevolezza che nel mio mestiere non si può prevedere nulla. Per questo le ferie, spesso, saltano. Anche all’ultimo minuto. Così, buono buono, aspetto pazientemente fino a giovedì sera. Allora, ciao… Ciao a lunedì. Ora è il momento di urlare! Venerdì mattina passo a prendere Francis, Pietro e ci lasciamo alle spalle la città: destinazione Bihać, sulle rive dell’Una in Bosnia.
Mentre noi ci dirigiamo a est, Franco prende la direzione opposta, volando fino a Los Angeles per rimanerci una decina di giorni. Non viene con noi, ma almeno non è in ufficio… Il viaggio scorre liscio e arriviamo all’appuntamento con la guida, Edin, precisi e puntuali. Salta in macchina e ci porta velocemente nel nostro alberghetto, piccolo e carino. Neanche il tempo di sedersi a parlare che ci vengono servite delle meritatissime birre. Sacrosante e rigeneranti. A fermare la rigenerazione ci pensa il primo giro di slivovica ghiacciata, da consumarsi tassativamente a stomaco vuoto, dopo la birra.
Inizia a fare caldo, ci togliamo le giacche, Pietro e Francis sfoggiano la stessa felpa Gary
Loomis. Edin li fissa un attimo, serio. Gli occhi gli si illuminano mentre pronuncia due sole parole: gay loomis. È la fine, inizia a battere scompostamente i pugni sul tavolo trascinandoci con la sua risata contagiosa. Dieci minuti dopo, asciugate le lacrime, ci mostra le sue meravigliose mosche che gli sono valse il secondo posto nella competizione internazionale Musicarenje.net 2013 e gliene prendiamo una caterva e mezza. Mentre mangiamo di gusto e mettiamo a punto il piano per domani, i bicchierini vengono svuotati con buona frequenza. Io mi trascino ai piedi del letto e mentre sto cercando di fare mente locale sulle cose da preparare, perdo i sensi. Francis è pronto all’ora stabilita, io e Pietro no, tanto che arriviamo in ritardo di venti minuti all’appuntamento con Edin. Ma, arrivati sul posto, ci accorgiamo che non c’è nemmeno la nostra guida. Aspettiamo, cerchiamo, chiamiamo ripetutamente sul cellulare ma niente. Iniziamo a preoccuparci che sia successo qualcosa, quando, con voce spiritata risponde al telefono e due minuti dopo ci raggiunge. Il mal di distillato aveva colpito anche lui… Saltiamo in macchina e, dopo un veloce pit stop per fornirci di vettovaglie, raggiungiamo un tratto in cui l’Una si incanala in una gola profonda: il regno delle fario leggendarie di questo fiume. L’azione di pesca si svolge parcheggiando a lato della statale e rantolando fino al fiume sprofondando nella neve fino al ginocchio. Vista l’impraticabilità della gola poi bisogna risalire e spostarsi in auto fino all’accesso dopo. Sono ancora molto provato dalla sera prima e ogni volta che tocca tornare su, preferirei farmi trascinare dalla corrente piuttosto che affrontare la salita…Arrivati in un tratto spettacolare, mentre mi sto arrampicando tra gli alberi per raggiungere
un bello spot, Pietro attacca qualcosa che tira come un dannato. Peschiamo molto pesante per via degli incontri che si possono fare da queste parti, e in pochi secondi riesce ad avere ragione di una bella trota sui 50 scarsi. Cerco di fare un video del release ma, visto che non mi ricordo nemmeno come mi chiamo, non riesco a capire come fare… Rinvigoriti e caricati a molla dalla cattura, torniamo a battere palmo a palmo l’acqua che corre veloce davanti a noi. Visto che il rischio non è mai troppo poco, facciamo anche qualche centinaio di metri sui binari di una linea attiva, stile Stand by me… Arriviamo all’acqua e, poco dopo, è il mio turno. Botta incredibile sotto i piedi, veloce combattimento, ma dopo poco si deve arrendere all’attrezzatura sovrastimata. Colori meravigliosi e pinne spropositate per vincere la corrente che corre velocissima. In pratica tirano come treni! Veloce spuntino sulla neve a base di un improbabile insaccato in plastica e poi ci dirigiamo verso il tratto cittadino del fiume: largo, piano, molto più lento. Peschiamo davanti a edifici che ancora portano i segni di una guerra non lontana, teatro del degrado e della povertà che ancora attanaglia questa zona.Fa impressione, tanta. Soprattutto quando le ombre si allungano, l’aria porta l’odore di plastica bruciata e il canto del Muezzin riecheggia nella valle. Rientriamo in albergo a buio fatto, mangiamo mentre Francis fa come i bambini di Paperissima che si addormentano con la faccia nel piatto e poco dopo tutti a nanna senza alcolici… Il giorno dopo la bruma e il ghiaccio avvolgono tutto. Edin ci porta in uno spot con delle cascate che, malgrado siano a pochi metri da noi, non riusciamo a vedere. Peschiamo convinti in diversi spot.
Ci muoviamo parecchio, girando abbastanza bene la zona. Lo scenario è desolante: alcuni paesi sono collegati solo da piste sterrate, invase qui e là da galline e randagi di ogni tipo, le case invece sono tutte nuove perché i bombardamenti ne hanno lasciate in piedi solo poche, che adesso rimangono a testimoniare il passato recente, esibendo fori di proiettile o schegge di granata. Spesso passiamo vicino a zone chiuse su cui campeggiano i cartelli rossi col teschio e la scritta “mine” in quattro lingue, altrettanto spesso è Edin a dirci di non camminare fuori dal sentiero perché nei dintorni potrebbero ancora esserci delle mine non segnalate. Non è rilassante, ma Edin, che ha combattuto per quattro anni e ha le cicatrici di svariati proiettili addosso, era uno sminatore.
In un’ansa conosco un pescatore che apre la sua scatola con dentro cinque artificiali e,
senza dire una parola mi regala un cucchiaio fatto a mano da lui. Faccio lo stesso e gli regalo un’esca delle mie. A quel punto ci tiene a portarmi in un posto buono, lo seguo e peschiamo in silenzio per un po’. Poi, senza aggiungere una parola, prende e se ne va. Purtroppo perdo quel gioiellino un paio d’ore dopo. Ci tenevo moltissimo, ma un’esca va usata…Smettiamo di pescare alle 17 perché ci aspettano tante ore di macchina per rientrare e il giorno dopo lavoriamo tutti. Nel ritorno veniamo però molto rallentati dalle seguenti punizioni divine: tre quarti d’ora alla dogana perché il passaporto di Francis si è misteriosamente cancellato; a 20 km dalla dogana ci ferma una pattuglia della polizia croata per dirci che abbiamo (francis) dimenticato un codice fiscale e dobbiamo tornare indietro; la temperatura tocca i -7°, la strada è completamente ghiacciata e dobbiamo andare piano; a Trieste, stanco morto, seguo pedissequamente le indicazioni del navigatore che ci fa entrare nei vicoli più sperduti della città. Alle 4 arrivo a casa per 3 ore di rilassante sonno.
Rock ‘n’ Rod!