Quando leggo il programma fibrillo un attimo, la sorpresa triangolata tra i miei, Monica e l’Anonima è meravigliosa, ma cerco di non lasciarmi trascinare, diviso tra adrenalina e consapevolezza che nel mio mestiere non si può prevedere nulla. Per questo le ferie, spesso, saltano. Anche all’ultimo minuto. Così, buono buono, aspetto pazientemente fino a giovedì sera. Allora, ciao… Ciao a lunedì. Ora è il momento di urlare! Venerdì mattina passo a prendere Francis, Pietro e ci lasciamo alle spalle la città: destinazione Bihać, sulle rive dell’Una in Bosnia.
Mentre noi ci dirigiamo a est, Franco prende la direzione opposta, volando fino a Los Angeles per rimanerci una decina di giorni. Non viene con noi, ma almeno non è in ufficio… Il viaggio scorre liscio e arriviamo all’appuntamento con la guida, Edin, precisi e puntuali. Salta in macchina e ci porta velocemente nel nostro alberghetto, piccolo e carino. Neanche il tempo di sedersi a parlare che ci vengono servite delle meritatissime birre. Sacrosante e rigeneranti. A fermare la rigenerazione ci pensa il primo giro di slivovica ghiacciata, da consumarsi tassativamente a stomaco vuoto, dopo la birra.
Inizia a fare caldo, ci togliamo le giacche, Pietro e Francis sfoggiano la stessa felpa Gary


Arrivati in un tratto spettacolare, mentre mi sto arrampicando tra gli alberi per raggiungere


Fa impressione, tanta. Soprattutto quando le ombre si allungano, l’aria porta l’odore di plastica bruciata e il canto del Muezzin riecheggia nella valle. Rientriamo in albergo a buio fatto, mangiamo mentre Francis fa come i bambini di Paperissima che si addormentano con la faccia nel piatto e poco dopo tutti a nanna senza alcolici… Il giorno dopo la bruma e il ghiaccio avvolgono tutto. Edin ci porta in uno spot con delle cascate che, malgrado siano a pochi metri da noi, non riusciamo a vedere. Peschiamo convinti in diversi spot.
Ci muoviamo parecchio, girando abbastanza bene la zona. Lo scenario è desolante: alcuni paesi sono collegati solo da piste sterrate, invase qui e là da galline e randagi di ogni tipo, le case invece sono tutte nuove perché i bombardamenti ne hanno lasciate in piedi solo poche, che adesso rimangono a testimoniare il passato recente, esibendo fori di proiettile o schegge di granata. Spesso passiamo vicino a zone chiuse su cui campeggiano i cartelli rossi col teschio e la scritta “mine” in quattro lingue, altrettanto spesso è Edin a dirci di non camminare fuori dal sentiero perché nei dintorni potrebbero ancora esserci delle mine non segnalate. Non è rilassante, ma Edin, che ha combattuto per quattro anni e ha le cicatrici di svariati proiettili addosso, era uno sminatore.
In un’ansa conosco un pescatore che apre la sua scatola con dentro cinque artificiali e,

Smettiamo di pescare alle 17 perché ci aspettano tante ore di macchina per rientrare e il giorno dopo lavoriamo tutti. Nel ritorno veniamo però molto rallentati dalle seguenti punizioni divine: tre quarti d’ora alla dogana perché il passaporto di Francis si è misteriosamente cancellato; a 20 km dalla dogana ci ferma una pattuglia della polizia croata per dirci che abbiamo (francis) dimenticato un codice fiscale e dobbiamo tornare indietro; la temperatura tocca i -7°, la strada è completamente ghiacciata e dobbiamo andare piano; a Trieste, stanco morto, seguo pedissequamente le indicazioni del navigatore che ci fa entrare nei vicoli più sperduti della città. Alle 4 arrivo a casa per 3 ore di rilassante sonno.

Rock ‘n’ Rod!
















































































