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Le gustose tradizioni san Biagio

Da Anginapectoris @anginapectoris

San Biagio è ricordato dalla chiesa il 3 febbraio quando fu decapitato,  non viene  invocato nelle Litanie dei Santi, però si trova nel numero dei Santi Ausiliatori, il che significa che è stato tra i santi più venerati e popolari per ben oltre un millennio,  non solo patrono di Maratea, il santo armeno è patrono di almeno 24 importanti centri in Italia tra le quali Ragusa, Ostuni, Ruvo, Fiuggi.

Le gustose tradizioni san Biagio

I 14 santi ausiliatori

Biagio, era un medico di origine armena che visse nel IV secolo, divenne vescovo della città di Sebaste dove operò numerosi miracoli.

E’ venerato come santo sia dalla Chiesa cattolica che e dalla Chiesa ortodossa.
Durante la persecuzione di Licinio venne arrestato dal preside Agricolao, a causa della sua fede venne imprigionato dai Romani, durante il processo rifiutò di rinnegare la fede cristiana; per punizione fu straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana.
Morì decapitato, tre anni dopo la concessione della libertà di culto nell’Impero Romano (313).

Tra le sue altre protezioni, ne ha una singolare, che è quella d’essere il santo patrono degli osti, ma nel racconto della sua leggenda, non vi è  nessun episodio che lo porta a contatto con la categoria, nè tantomeno fu frequentatore dei loro posti di lavoro, difatti  tutto questo ci mostra come talvolta determinate categorie di artigiani sceglievano il loro santo protettore.

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San Biagio, Hans Memling, 1491, olio su tela, Lubecca, Sankt-Annen-Museum.

Infatti a Roma la corporazione degli osti ebbe sede presso la chiesa di San Biagio e quella fu la loro cappella, dal che avvenne la scelta del Santo come loro protettore.
Malati di gola, per il miracolo del bambino, animali, per la sua vita eremitica con gli animali, pastori e guardiani di greggi, greggi dalle insidie dei lupi, per il miracolo della vedova, pettinai, per il pettine, attributo del Santo, cardatori, per i pettini del martirio, musicisti di strumenti a fiato, collegato alla protezione della gola, mugnai di mulini a vento, materassai, per i pettini del martirio, laringoiatri, coloro che curano l’apparato respiratorio, osti, lanaioli, linaioli, funai e canepari.
Viene invocato anche dalle fanciulle per trovare marito
Il corpo di san Biagio fu sepolto nella cattedrale di Sebaste, l’odierna città di Sivas, nella Turchia orientale che al tempo del santo fu provincia romana chiamata Armenia Minor. Sebaste (o Megalopolis), capitale della Armenia bizantina.
Nel 732 una parte dei suoi resti mortali, deposti in un’urna di marmo, furono imbarcati, per esser portati a Roma.
Una tempesta fermò il viaggio a Maratea, (di cui è patrono) dove i fedeli accolsero l’urna contenente le reliquie – il “sacro torace” e altre parti del corpo –, e la conservarono nella Basilica di Maratea, sul monte San Biagio.
La cappella con le reliquie fu poi posta sotto la tutela della Regia Curia dal re Filippo IV d’Asburgo, con lettera reale datata 23 dicembre 1629: da allora è nota popolarmente col nome di Regia Cappella.

La venerazione di Maratea per il santo protettore accrebbe così l’evento miracoloso della santa manna ed in più di un’occasione, la statua e le pareti della basilica si ricoprirono, e in

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Santuario di san Biagio a Maratea

modo abbondante, di un liquido acquoso, di colore giallastro, raccolto dai fedeli e adoperato con estrema devozione per la cura dei malati, in quanto proprietario di poteri taumaturgici.
Il prodigio della manna, fu autenticato già da papa Paolo IV nel 1563, all’epoca Vescovo di Cassano e, si verifica saltuariamente durante le festività patronale che a Maratea che viene celebrata nella seconda domenica di maggio con un cerimoniale stabilito da un protocollo vecchio di secoli. I festeggiamenti durano otto giorni e si aprono il sabato

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Simulacro di san Biagio a Maratea

precedente la prima domenica di maggio con la processione al Castello, detta “S.Biagio va per la terra”. Il giovedì successivo, il simulacro del Santo viene portato a Maratea Inferiore, e la mattina della seconda domenica di maggio la statua, coperta col drappo rosso, torna nella sua abituale sede al Castello.

C’è da dire che un gran numero di località vantano il possesso di un frammento del corpo del santo. Ciò è dovuto, oltre all’antica usanza di sezionare i corpi dei santi e distribuirne le parti per soddisfare le richieste dei fedeli, alla pratica della simonia, una delle cui forme consisteva nel vendere reliquie false, o reliquie di santi omonimi ma meno conosciuti, è curioso leggere il lungo elenco su wikipedia delle città e paesi italiani in possesso dei sacri resti del santo armeno. Una sua statua è posizionata anche su una delle guglie del Duomo di Milano, la città dove in passato il panettone natalizio non si mangiava mai tutto intero, riservandone

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Panettone di san Biagio

sempre una parte per la festa di san Biagio, e,  tuttora viene venduto il “panettone di san Biagio”, che sarebbe poi, quello avanzato durante le festività natalizie.
L’“osso della gola” di san Biagio con il quale si benedicono i fedeli, dal 1617  è custodito a Roma ai Ss. Biagio e Carlo ai Catinari.
La reliquia precedentemente era custodita a S. Biagio dell’Anello fu portata a S. Pietro in Vaticano nel pontificato di Eugenio IV (1431-1447); posta in un prezioso reliquiario dal cardinale Enrico de Minutilis (eletto nel 1389, morto nel 1412) venne rubata nel Sacco di Roma del 1527.
Nello stesso anno fu riscattata con cento ducati d’oro dal cardinale Andrea della Valle. Ai Ss. XII Apostoli vi è la reliquia di un braccio del santo Vescovo di Sebaste invocato contro le malattie della gola.

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Benedizione di san Biagio

Ovviamente la famosa reliquia si trova a Roma, per cui, nel resto della nazione, la benedizione viene impartita con l’ausilio di due candele benedette (secondo il costume di alcuni luoghi) nel giorno precedente, cioè per la festa della Candelora. Comunemente, però, le candele usate per la benedizione della gola vengono benedette il giorno stesso con un formulario apposito: la Benedizione delle candele nella festa di San Biagio Vescovo e Martire.

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San Biagio alla pagnotta a Roma

L’usanza di distribuire pani benedetti si ritrova in molte cittadine italiane dove vengono modellati in modo da assumere la forma delle parti malate, a Roma questa usanza è ricordata nella chiesa di San Biagio alla Pagnotta, officiata dagli Armeni, mentre come già detto a Milano si mangia una fetta di panettone conservata appositamente dal giorno di Natale, in Sicilia a Comiso, ma anche in altre zone dove il culto del santo è molto sentito, nel giorno della sua festa ad esempio, vengono foggiati e stilizzati a mo’ di trachea (cannarozzain dialetto siciliano)

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Cannarozza

sono soliti attaccarsi al collo per proteggersi dalle angine, rimandando alla famosa leggenda del bambino che salvò a causa di una lisca di pesce conficcataglisi in gola, infatti il mangiarne, dopo averli fatti benedire, era segno simbolico di protezione dei mali della gola. uno dei più suggestivi pani rituali italiani, è quello di Salemi la cui origine pare risalga al 1542.
In quell’anno le campagne della zona furono minacciata da uno sciame di cavallette, e allora gli agricoltori rivolsero le proprie preghiere a S.Biagio.

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Pani siciliani

In seguito, per lo scampato pericolo, la comunità dedicò al protettore dei piccoli pani di farina di grano duro, chiamati in base alla forma “cuddureddi” (coroncine) o ”cavadduzzi” (cavallucci);

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Panicelle di san Biagio

A Taranta Peligna (Chieti)  il culto del santo risale al secolo XIII e fu promosso dalla Confraternita dei lanieri e dei tessitori che organizza la preparazione e la distribuzione delle panicelle, piccole forme di pane raffiguranti le dita della mano benedicente.

Tra i tanti paesi di cui è patrono, lo è anche di Cavriana in provincia di Mantova, dove in occasione della sua ricorrenza viene preparata una torta che porta il suo nome: la Torta di San Biagio di Cavriana che viene preparato tradizionalmente in occasione della festività del santo.

E’ un dolce dal sapore di mandorle e cioccolato, di forma circolare l’impasto, non è lievitato, ed è caratterizzato da una consistenza friabile. Sulla superficie, le strisce ricavate dall’avanzo della pasta usata per foderare la tortiera, disegnano dei rombi sotto i quali si può riconoscere il colore scuro del ripieno.

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La Regina Anna d’Austra moglie di Luigi XIII

In origine la torta a base di mandorle pare che avesse un diametro di oltre tre metri,  veniva poi tagliata ed offerta al pubblico convenuto in Piazza Castello.
La tradizione narra che questo dolce dal sapore così particolare fu inventato dalle donne cavrianesi per donarlo alla Regina Anna, moglie di Luigi XIII, per tramite dei cuochi francesi che il re aveva mandato nel Ducato Mantovano ad imparare nuove ricette per le feste di corte.

Ingrediente principe di questo dolce sono le mandorle di Cavriana, apprezzate e considerate afrodisiache già dalla Corte dei Gonzaga, che ogni anno, all’inizio dell’inverno, ne acquistavano grosse quantità da usare durante le feste con i cortigiani.

Durante la Fiera di San Biagio, a inizio Febbraio, nella piazza principale di Cavriana viene esposta un’enorme Torta di San Biagio che come vuole la centenaria tradizione viene tagliata e distribuita ai visitatori della festa.

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La maxi torta che ogni anno viene preparata nella piazza del paese di Cavriana  in occasione di san Biagio

Ingredienti:
Per la Pasta:
- 250 g di farina di frumento
- 100 gr zucchero semolato
- 100 gr di strutto (o burro)
- buccia di limone grattuggiata
- vino bianco per impastare q.b.
- vanillina

Per il ripieno:
- 100 gr di mandorle
- 100 gr di zucchero semolato
- 1   uovo intero
- 15   gr di cioccolato fondente grattuggiato
- 3   amaretti sbriciolati
- succo di limone

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Torta di san Biagio di Cavriana

- anice o rhum

Esecuzione:
Preparare la pasta frolla unendo farina, zucchero, strutto (o burro), vanillina e scorza di limone; aggiungere poco vino bianco per volta, quanto basta per ottenere un impasto compatto. Formare una palla e lasciare riposare.
Preparare il ripieno tritando le mandorle, aggiungere il cioccolato tritato, gli amaretti sbriciolati, lo zucchero, l’uovo, il succo di limone e poca  anice o rhum per aromatizzare. Dopo aver amalgamato bene il tutto fare riposare per alcune ore in un luogo fresco.
Versare il ripieno preparato nella teglia e con la pasta rimasta tagliare delle strisce e stenderle sopra il ripieno, come per una crostata.
Cuocere in forno a 180° C precedentemente risalcadato per circa 50 minuti.
ricetta tratta dal sito Dulcissima 

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