Si stima, dati della Camera di commercio alla mano, che le kebaberie a Milano siano più di 350 e tutte gestite da stranieri.
A Milano si spendono circa 80 milioni di euro l’anno per mangiare nei ristoranti “etnici” e un milanese su tre frequenta locali stranieri almeno 10 volte all’anno.
Negli scaffali dei supermercati si sono verificati aumenti record dei prodotti etnici, acquistati anche dagli italiani, a dimostrazione dell’apprezzamento di alternative alimentari rispetto alla dieta mediterranea.
Segno che piacciono anche il pane arabo, il cous-cous, il burghul, il falafel, il chai, il riso alla tunisina e i fagioli alla messicana o i metodi di cottura etnici: kebab, tikka, tandoori.
Però alla Lega non vanno giù, non sono lisci come la polenta.
Ed è polemica politica.
Infatti la Lega, in una apposita normativa regionale della Lombardia , considera questi ristoranti etnici “generi di attività commerciali che stonano pesantemente all’interno di un millenario borgo storico come è tipico della realtà lumbard”.
Già, stonano e che altro?
Questa breve, realistica poesia