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Del resto, in tempi di spending review ci si arrangia come può.
Perdonatemi, suvvia.
In realtà, celie a parte, la questione per me si pone eccome tra il farci e l'esserci. Si fa il medico o lo si è? Si fa la maestra o la si è?
Nel mio caso io sento di essere ciò che faccio e a distanza di... quanti? boh, venticinque, ventisette anni dalla mia prima volta ancora oggi non riesco a immaginare un futuro diverso per me.
Eppure ci sono arrivata per caso. Non sono di quelle che il sacro fuoco se lo son sentite da bambine. Mai nemmeno scritto per il giornalino della scuola, tanto per capirci. In fondo cercavo solo un lavoretto che mi consentisse di guadagnare qualcosa mentre finivo l'università. E quel posto in quell'agenzia sembrava fatto su misura per me. Poche ore al mattino, in pieno centro a Milano, così che appena finito riuscivo a scappare a lezione o a lavorare sulla tesi.
Appena laureata, poi, me lo ricordo ancora quel colloquio presso la sede di uno dei più prestigiosi orafi italiani, con il selezionatore del personale che mi parlava di orari, mansioni, vincoli di riservatezza, e intanto mi chiedeva con insistenza "ma lei intende avere figli"? Non avevo ancora venticinque anni, all'epoca, che ne sapevo del mio futuro. Così risposi che se era un certificato di sterilità quello che mi stava chiedendo, non ero in grado di darglielo. E tornai in agenzia, dove il titolare - di questo glie ne sarò grata sempre - mi aspettava per offrirmi un contratto a tempo pieno. Un contratto che non aveva tirato fuori dal cassetto per lasciarmi libera di capire che cosa volevo davvero essere, non cosa volevo davvero fare.
In questi anni il mio lavoro mi ha portato in giro per il mondo, ma soprattutto mi ha permesso di conoscere un mondo di persone. E dopo anni è bello pensare, ogni volta che preparo la valigia, se incontrerò l'amico Tiger Man da Israele, o il collega sudafricano, che un po' scrive un po' produce il vino delle sue vigne, o ancora Paolo, di Toronto, con il padre italiano e comunista, che ogni volta mi domanda di Mr. B.
Certo, i tempi sono duri, e il mio/nostro lavoro è talmente cambiato che diventa sempre più difficile sostenerlo. Tra cattiva fama e salari da fame (come si fa, ditemelo, a pretendere di pagare 5 euro ad articolo, sperando di ricevere in cambio lavoro di qualità nel pieno rispetto di tutte le regole di controllo e verifica che la deontologia richiede? E come si fa, ditemi di nuovo, ad accettare questi compensi senza rendersi conto che comunque non ci si vive e che nel contempo si ammazza una professione?) siamo come i famosi avvocati incatenati in fondo al mare del film Philadelphia: un buon inizio. :)
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