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Vorrei riflettere su questa DICOTOMIA. In realtà, ci rifletto da quando sono nata. Perché a me, la maternità come simbologia-valore-essenza-perfezione-valoreassoluto non mi ha mai convinta. Neppure un po’.
Non sono madre per scelta: lo dico subito, così ci leviamo il pensiero. Sposata da anni, ho scelto la non-maternità. E – stranamente – sono rimasta donna. Sì, donna in tutto e per tutto: con utero, ovaie, seno, emozioni a palla, voglia di esistere e dire la mia, desideri e sogni, rabbie e realtà.
Donna. Come tutte le altre.
Accade spesso che io ritorni su questo tema della maternità. Perché mi punzecchiano, mi provocano.
Tipo una certa frase del discorso femminista di Patricia Arquette nel ricevere l’Oscar 2015 come miglior attrice non protagonista del film Boyhood: “Tutte le donne che hanno partorito, tutte le cittadine e le contribuenti di questa nazione: abbiamo combattuto per i diritti di tutti gli altri, adesso è ora di ottenere la parità di retribuzione una volta per tutte, e la parità di diritti per tutte le donne negli Stati Uniti”.
Ecco. L’incipit è PER LE DONNE CHE HANNO PARTORITO. Perché ? Perché il film parla di un ragazzino figlio di separati? E che c’entra? Se si parla di FEMMINISMO a 360°, mi spiegate che cappero c’entra specificare subito la dicotomia MADRI – NON MADRI?
Non è ricadere, noi per prime, nella distinzione, separazione, classificazione delle donne?
Madri, sante, puttane, casalinghe….
Sarei un po’ stufa. Non so voi.
Sì, sarei stufa. Certo, anche come DONNA NON MADRE.
Sarei stufa di dover sempre essere tra quelle che vengono dopo: perché, non avendo avuto 9 mesi di gravidanza, parto e dolori da parto, allattamento, pappe, culetti da pulire, vomitini da disinfestare, amoredimamma, amoredipapà, dimmi la parolina bella, guarda che gattona, guarda che fa i primi passi… ecco qui che dovrei contare quanto un due di picche.
Con tutto il rispetto per chi sceglie di procreare (tutto il rispetto), io non ci sto a far parte di categorie, classi, seconde file da ballerina sfortunata.
Non ci sto ad essere classificata come “meno donna” o “meno femmina” perché non ho dato alla luce la quintessenza dell’universo.
“E certo che parli così: non sei madre!”
“Porella… non sai le gioie della maternità…”
“Noi donne che diamo la vita agli uomini, alla terra, alle galassie tutte, all’universo”
“Noi uterate che usiamo l’utero in modo uterino…”
Bah.
Da non-madre leggo, osservo, guardo con stupore queste celebrazioni di beatitudine e santificazione.
Lo stupore di chi non vive questa condizione di Perfezione auto-celebrata e socio-celebrata.
Lo stupore di chi si sente LIBERA da classificazioni e condizionamenti e inquadramenti.
Né santa né puttana. Né madre, né non-madre.
Donna e basta.
Cara la mia Patricia, se dicevi “tutte le donne, tutte quante”… era meglio.
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CONTATTI 23 Febbraio 2015: 50.348
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