Magazine Diario personale

Cosa ho imparato da 3 anni di disoccupazione

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Oggi wordpress ci ha tenuto a informarmi che sono passati ben 3 anni da quando mi sono iscritta alla piattaforma e, quindi, da quando ho aperto questo e gli altri blog.

L’ho fatto per terapia, per non arrendermi all’onda anomala della disoccupazione, con i suoi strascichi di rabbia e smarrimento, e per non lasciare che mi inghiottisse e mi portasse via. Non senza combattere.

Ora sono passati 3 anni di “percorso” nella disoccupazione, e nei suoi vari stadi che, a guardarli oggi, sembrano passati così in fretta!

traguardo

Eppure, 3 anni non son pochi, e pesano sulle spalle come 10, e forse più. 3 anni vissuti così, a combattere con la disoccupazione, la precarietà, l’ignoranza della gente e la mancanza di tatto, il disinteresse, l’ipocrisia… sono tanti, se ci pensate, Troppi, direbbero alcuni.

Eppure, a sorpresa, mi ritrovo a guardare indietro, poi avanti, a tirare le somme, e dirmi che dopotutto io invece sono contenta. Non tanto di quello che ho vissuto ma di quello che ne ho tirato fuori. Delle dure, ma necessarie, lezioni che ho imparato. Del duro lavoro che c’è stato dietro, del quotidiano rimboccarmi le maniche, del costante dire “no, cazzo non ci sto”. Di tutti gli sforzi, ma anche delle piccole vincite e soddisfazioni.

Che poi “piccole” dipende sempre dagli occhi di chi guarda, e a me non paiono poi tanto piccole.

E dunque, è tempo di tirare veramente le somme, prima di voltarsi per guardare avanti, e non guardare più indietro (come già sto facendo da un bel pò). Che cosa mi hanno insegnato questi tre anni, che posso condividere con voi?

Ecco qua:

1. a imparare a distinguere le persone “buone” da quelle “cattive”. buone per la mia vita e cattive per la mia tranquillità. A imparare a riconoscerle, separarle, tenere vicino e apprezzare le une, liberarmi delle altre senza pssibilità di appello. La vita è troppo breve e dura per perdere ancora tempo sulle cause perse.

E non potete capire quanta soddisfazione dia poter mandare a quel paese profittatori, pesi morti, zecche, cozze e feccia varia. Non ha prezzo, credetemi.

2. a non lamentarmi mai, tanto è inutile, e a rimboccarmi le mani per FAR ACCADERE le cose, invece che aspettare che accadano: nessuno farà mai il mio bene quanto lo potrò fare io, perciò è meglio che mi abitui a farmelo da sola

3. a non accontentarmi mai, nonostante quello che dicono gli “altri”. Gli altri non sono me, non sano che cosa conta per me, cosa è poco e cosa è troppo… gli altri non sono me e non mi definiscono.

Ci ho messo quasi un vita a capirlo, ma una volta che ci sono riuscita, sono stata libera.

4. a non lasciare che qualcun altro mi definisca, mi prenda le misure, mi incaselli e mi etichetti, e soprattutto, a non lasciare che mi pongano dei LIMITI. E’ partito con chi mi ha depennata da una lista di “Risorse” dicendo che ero “inadeguata”, non più “qualificata”, “inutile”.

Non accadrà mai più. D’ora in poi saranno gli altri (persone, progetti, aziende) a non essere adatti a me, alle mie competenze, e alle mie risorse.

Capita, è una legge di mercato: non si può piacere a tutti. Ogni prodotto ha la sua nicchia, basta esserne consapevoli e il gioco è fatto.

5. a non lasciarmi buttare giù dalle avversità, e dalla gente che rema conto cercando soddisfazione nei tuoi “insuccessi”. E’ stata una delle più grandi lezioni che ho imparato: non appena ti fai da parte, esci dal quadro, e guadagni una nuova prospettiva, tutto appare più chiaro e le persone si rivelano per quello che sono: avvoltoi, insicuri che hanno bisogno che qualcuno stia peggio di loro per sentirsi meglio, di giudicare qualcuno sbagliato per sentirsi giusti, di confrontare la loro vita con quella dei “perdenti” per sentirsi fortunati.

Poi trascorrono il resto della loro vita “fortunata” lamentandosi di continuo, e di fatto continuano a vivere male.

6. a dare valore a me stessa, a crederci io per prima, a uscire a testa alta e “riqualificarmi”, “rivendermi”, ma non svendermi.

La disoccupazione mi ha insegnato, soprattutto, quali sono i limiti e le linee di confine, alcuni mentali, altri fisici, e cosa accade a superarli. Mi ha insegnato dove è la safety line, a sfidarla con coscienza di causa, a prendere un gran respiro e poi tuffarsi, che l’acqua sarà sicuramente fredda ma non ti ucciderà: il difficile, sarà cominciare a nuotare quando risali a galla…

E continuare a farlo.

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